Dopo quello che è successo a Roma a Hasib e alla sua famiglia, noi rom e sinti ci facciamo molte domande. Quando un rom commette un crimine i giornali non si fanno scrupoli. I titoli riportano sempre: rom arrestato o nomade arrestato…. Quando subiamo abusi e violenze, verbali e fisici, i titoli di norma non riportano l’etnia, anche se in quei casi proprio l’etnia è il motivo della violenza. Cosa è successo a Roma? Il solito di una serie di fatti che vengono classificati come “mele marce nelle forze dell’ordine, ma la giustizia farà il suo corso”? Oppure c’è qualcosa di più profondo, evidente a chi si fermi a riflettere, ma scomodo o non abbastanza importante da rendere pubblico?

A Roma va tutto bene ora, come a Milano e in altre città. Basta essere democratici e civili e assegnare una casa ai rom, trattarli come tutti gli altri, farli accedere alla graduatoria? Chiedetelo ai rom. Quanto ha aspettato e desiderato la famiglia di Hasib una casa popolare, quanti campi di Roma ha girato, quanti sgomberi ha subito prima di arrivare alla realizzazione di questo sogno? Una piccola casa in un quartiere di periferia per farsi vedere quasi morire un figlio, una casa che adesso abbandona per paura. Quante famiglie rom ancora vivono nelle loro piccole case in periferia segregate e terrorizzate perché i “bravi cittadini” non vogliono “zingari” come vicini di casa?

Ricordo Suzana e le sue due bambine qualche anno fa. Dovevamo andare a dormire con loro perché avevano paura di quelli che per giorni sostavano sotto casa a protestare contro gli “zingari” che rubano le case popolari agli italiani.

Poi i fatti di Torre Maura, con il pane per le famiglie rom calpestato da decine di persone, poi tutti gli altri rom che hanno abbandonato le case per paura, quelli che subiscono violenze verbali, o fisiche, ma non sufficienti per diventare fatti di cronaca, i bambini che vengono aggrediti ai giardinetti, o ignorati o presi i giro nelle classi che cercano di frequentare. Quante cose avremmo da raccontare: un’Italia molto diversa! In altre parti d’Italia rom e sinti combattono per poter abitare a modo loro, nelle cosiddette micro-aree o nei propri terreni privati, in comunità, in modo tradizionale. Ma non si può. Bisogna andare a vivere come tutti gli altri, nelle case popolari in periferia. I terreni vengono sequestrati, le aree sgomberate, i campi “superati”, tutto con un coro che celebra all’unisono l’integrazione. Poi, quando vengono sbattuti nelle case, per un po’ qualche associazione si occupa del loro “inserimento abitativo” o “accompagnamento abitativo”, e poi, quando il progetto e i soldi finiscono, vengono abbandonati al 73% di “italiani” che li odiano (dati SWG).

Qual è il nostro posto nella società italiana? Dove possiamo vivere in pace e tranquilli senza rinunciare a noi stessi? Ho ricevuto ieri un messaggio da Jonatan, un sinto lombardo che viveva da 10 anni in una casa mobile su un terreno agricolo che aveva comprato anni fa per sé, sua moglie, due genitori anziani e i suoi bambini. Fa il paninaro, paga tasse e utenze, i suoi figli andavano a scuola e erano anche molto bravi. Sono stati sgomberati dal loro terreno che gli è stato sequestrato. Adesso vivono in una roulotte da parcheggio a parcheggio. Mi scrive: “Chiediamo un posto tranquillo dove stare e lavorare in un modo dignitoso”. Così semplice e così impossibile in questo paese se sei rom o sinto.

Perché? C’è chi ci vuole far “sparire”, come il leghista fiorentino, una politica chiara e evidente. Chi invece è più “buono”, si dichiara democratico e antirazzista, pensa che basta cancellare la nostra identità, siamo poveri da assistere, asociali da recuperare, non un popolo da rispettare con la propria identità. Invece noi chiediamo di guardare in faccia questa ipocrisia che maschera una mentalità colonialista. Lo Stato italiano applichi le raccomandazione del consiglio d’Europa, dopo 600 anni dalla nostra presenza in Italia ci riconosca come minoranza storico-linguistica, come prevede espressamente l’articolo 6 della nostra Costituzione e come già è accaduto a tutte le altre minoranze in Italia. Allora sì che si potrebbe dire che lo Stato affronta il cancro dell’odio che si chiama antiziganismo e che fa i conti con il 73% degli italiani che sono ostili nei nostri confronti.

Così si potrà inserire nei libri scolastici l’insegnamento della nostra storia e del nostro genocidio crescendo nuove generazioni in modo diverso, potremo avere la nostre editoria e i nostri giornali, spazio per la nostra voce nei media come minoranza riconosciuta, avremo anche diritto di abitare in modo diverso, secondo la nostra cultura, e scegliere le soluzioni che fanno vivere tranquilli Suzana nella sua casa popolare e Jonatan nel suo terreno. Così metteremo un seme vero per la convivenza civile e il rispetto reciproco, cosa della quale non beneficerebbero solo rom e sinti ma tutta la società, perché potrebbe contare in questo modo sulle diverse migliaia di cittadini che possono contribuire al benessere del paese vivendo tranquilli, senza paura.

Quello che non ci è chiaro è, perché no?!

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