L'INTERVISTA - L'ex capitano della Nazionale agli inizi della sua stagione d’oro, quella della “generazione di fenomeni”, ripercorre il cammino mondiale della Nazionale maschile: "Adesso gli Europei in casa e poi si puntano le Olimpiadi". Gli elogi al ct: "Umile e sarà dare le chiavi giuste in mano ai ragazzi". E in vista del Mondiale delle donne avvisa: "Valgono l'oro, sono molto fiducioso"
“Noi non siamo più nulla e ora torniamo nel nostro sarcofago perché i ragazzi di Ferdinando De Giorgi e di Simone Giannelli sono il nostro futuro”. Finita la telecronaca della finale del Mondiale di pallavolo tra Italia e Polonia, domenica sera, il commentatore tecnico della Rai Andrea Lucchetta, ex capitano della nazionale agli inizi della sua stagione d’oro, quella della “generazione di fenomeni” capace di vincere tre titoli iridati consecutivi, sentenzia così la fine di un ciclo. Lucchetta, 292 presenze in azzurro, una carriera nelle principali squadre e poi una vita da “divulgatore” della pallavolo, coi commenti tecnici al microfono della Rai e le attività coi giovanissimi, guarda al futuro del volley azzurro con fiducia.
Andrea Lucchetta, come è nata questa frase?
Nasce dalla consapevolezza di aver chiuso un ciclo. In questi anni abbiamo vissuto momenti di grande disagio, come l’onta del tredicesimo posto al mondiale nel 2012. Certo, durante questo periodo abbiamo avuto occasione di vincere qualche medaglia, come un bronzo agli Europei del 2015 contro la Bulgaria, che – senza offese – è di un livello più basso. Quello che mi preme sottolineare è questo spirito di gruppo in cui mi sono riconosciuto. L’immagine che ho dato durante la telecronaca è quella di Obi Wan Kenobi che trova il padawan giusto a cui dare forza e energia per poi lasciarlo andare avanti da solo. Io l’ho visto in Simone Giannelli. Nel 1989 e nel 1990, anni del primo europeo e del primo mondiale, il capitano ero io e in panchina c’era Fefè De Giorgi, come riserva. Nel 2021 e nel 2022 il capitano è lui e in panchina c’è sempre De Giorgi, come allenatore.
Giannelli miglior giocatore del torneo. Che cosa ha visto in lui?
L’ho guardato durante il riscaldamento e già lì ho avuto la percezione del suo cambiamento e della sua maturazione. Questo gruppo ha cancellato gli stereotipi grazie alla rivoluzione innescata dalla Federvolley, che ha voluto fortemente Ferdinando De Giorgi. Non è un gruppo rabberciato. È un gruppo che gioca per la maglia e non per il cognome stampato dietro. I giocatori sono interscambiabili e non hanno altri interessi.
In che senso?
Prendete Giannelli, che è un testimone di Armani (e la sua classe non è acqua!): non è schiavo dei social, né tanto meno usa i social per creare la sua popolarità. È un vero capitano.
Che atteggiamento aveva la squadra?
Dopo il primo set la percentuale di attacco era al 20% e molti avrebbero dato la nazionale per spacciata. Io – dopo aver visto il riscaldamento, l’atteggiamento difensivo, le coperture, il modo in cui tenevano il muro e giocavano su ogni pallone – ho pensato: “Questa è la partita giusta”. Perdono il primo set? Non è un problema. Si fanno i cambi giusti, come Roberto Russo che ha toccato qualche pallone in più a muro, e si aspetta Alessandro Michieletto. Don Fefé da Squinzano gli ha fatto notare che aveva ancora qualcosa nel suo bagaglio tecnico. Durante la telecronaca io parlo di sagacia, spavalderia, di essere sbarazzini e ho inserito un’altra s, quella di “spietati”, parola che non ho mai usato.
E quando ha capito che erano spietati?
Quando ho visto il volto di Yuri Romanò dopo un attacco vincente sulle mani di Kamil Semeniuk. Nel primo set abbiamo avuto la dimostrazione che erano tutti quanti pronti. Chi è entrato ha dimostrato l’interscambiabilità. Simone Anzani è stato umile, aveva perso il posto da titolare, ma ha investito su stesso e poi è entrato al posto di Gianluca Galassi, che è stato bravo ma ha avuto qualche cedimento. Fabio Balaso, il libero, impersonava il ritmo e l’atteggiamento di lotta su tutti i palloni. In finale nessuno ha mai rinunciato, nessuno ha contestato o avuto diverbi. Sono stati “perfettissimi”.
Quale prospettive hanno Giannelli&co.?
Nel 2023 loro e le ragazze giocheranno il campionato europeo in casa, dove potranno vincere l’oro per poi lanciare la sfida alle Olimpiadi di Parigi 2024. Ai Giochi può succedere di tutto, ma questi saranno “supercazzimmosi”.
Cosa è mancato alle nazionali allenate da Berruto e Blengini, pur avendo giocatori come Juantorena e Zaytsev?
Erano squadre che andavano a corrente alternata, a intermittenza. A Rio nel 2016 la palla dentro-fuori di Zaytsev contro gli Usa ha cambiato tutto, anche il rendimento di Ivan, che fino a quel momento non aveva avuto grandi picchi. Ad alcuni allenatori mancava l’appeal giusto per costruire un rapporto di fiducia con la squadra, appeal che invece Ferdinando ha. In passato abbiamo vissuto dei momenti assurdi… Inoltre Ferdinando ha vinto tre mondiali da giocatore e ora da allenatore. Con gli Usa, Karch Kiraly ha vinto le Olimpiadi di pallavolo e di beach volley da giocatore e poi una da allenatore della Nazionale femminile. Puoi essere un ottimo teorico, però se hai l’umiltà di imparare il mestiere e riesci a dare le chiavi del mestiere, come Fefè coi suoi palleggiatori, allora funzioni. Se invece ti fai fagocitare dai grandi giocatori che hanno un seguito sui social o un cognome importante e scendi troppo a compromessi, alla fine crei disomogeneità nel gruppo.
Cosa c’è dietro questa squadra?
Ferdinando e anche Davide Mazzanti (allenatore della nazionale femminile, ndr) possono contare su dieci ori a livello juniores e pre-juniores, un cambiamento che parte dalla base, ad esempio dal gioco dello spikeball che permette ai bambini di schiacciare come Daniele Lavia: possono guardare Super Spike Ball su Rai Yoyo e poi giocare a scuola con la rete bassa, schiacciando coi piedi a terra, iniziando a realizzare il loro sogno e poi, crescendo, passare dal Trofeo delle regioni, al Club Italia e infine con un’ulteriore spinta arrivare nelle giovanili. Marco Mencarelli insegna: guardate quante medaglie d’oro ha vinto come allenatore con la nazionale pre-juniores e juniores, quante ragazze e quanti allenatori, come ad esempio Mazzanti e Stefano Lavarini, ha formato. Bisogna fargli un monumento. Poi le società fanno il loro.
Come a Trento, da cui arrivano Giannelli e Michieletto?
A Trento c’è stato un allenatore come Radostin Stoychev che ha buttato Giannelli in campo ancora giovanissimo, vincendo poi lo scudetto. Però lo scorso inverno, quando siamo andati in udienza da Papa Francesco per il premio Fair Play, Fefè era preoccupato perché i suoi opposti (Yuri Romanò e Giulio Pinali, uno a Milano e l’altro a Trento, ndr) non giocavano.
A proposito di giovani, ci sono dei ragazzi delle giovanili da tenere d’occhio in vista di Parigi 2024?
È prematuro. Il setaccio sarà brutale. Mi piace sottolineare però l’allargamento della base, a cui lavoro da quindici anni. Molti pensano soltanto a salire, soprattutto nelle società. Con la Federazione pensiamo ad allargare la base.
Molti giovani azzurri sono figli d’arte. Michieletto, Francesco Recine, Davide Gardini, Alessandro Bovolenta. Il volley è un fattore ereditario?
Non è detto che col cognome si possa andare avanti, anzi molti non arrivano. Recine è passato per il Club Italia (la squadra della Federazione che militava in serie A2 per far crescere i giovani, ndr), che è stata una fucina in cui Mauro Barbiero ha creato i presupposti per questi successi. Da lì è passato anche Gianluca Galassi, per dirne uno. Tutto dipende da dove cresce il figlio d’arte. A Trento Michieletto ha avuto la fortuna di avere un padre molto umile e degli esempi da seguire come Matej Kaziyski, un fenomeno che si allena come un matto e gioca da fuoriclasse. Dipende anche dall’ambiente in cui il figlio d’arte cresce. Poi è il campo che sceglie.
Il Club Italia maschile è un progetto interrotto. Deve ricominciare?
Secondo me sì, magari in zone decentrate e non in un unico posto. La filosofia del Club Italia non è soltanto prendere i migliori, ma prendere quelli che non hanno possibilità di emergere nel loro territorio. Ad esempio Alessia Orro, in Sardegna, avrebbe fatto fatica a farsi notare. Durante una giornata di selezione a livello regionale è stata vista, Mencarelli l’ha presa al Club Italia e l’ha fatta crescere tecnicamente.
Dalle donne che dobbiamo attenderci?
Una medaglia d’oro. Se non vincono sarà un fallimento.
A differenza dei ragazzi, le ragazze partono con aspettative alte?
Moltissimo. Nella Serbia rientra Tijana Boskovic, quindi bisognerà fare attenzione. L’Italia ha tutte le carte in regola. Poi dipenderà da come Mazzanti gestirà lo spogliatoio. La femminile poi ha margine di miglioramento: cerca un modello maschile, ma con molta più tecnica e meno potenza. Sono molto fiducioso.