L’opacità delle società di Stato sulla strage del Moby Prince, il disastro navale in cui morirono 140 persone a poche miglia al largo di Livorno, resiste nel tempo. All’epoca delle prime indagini fu Snam (che non è la Snam di oggi) a fare di tutto per sollevare fumo sull’esatta ricostruzione dell’accaduto, nonostante fosse l’armatore dell’Agip Abruzzo – la petroliera contro la quale finì il traghetto a bordo del quale si trovavano le vittime. E oggi è caduto nel vuoto, invece, l’appello a Eni, società madre che dovrebbe aver ereditato le carte su quel disastro. La multinazionale italiana non ha voluto rispondere nemmeno alla commissione d’inchiesta della Camera sulla strage del Moby, come ha spiegato il presidente dell’organismo Andrea Romano che oggi ha illustrato le conclusioni delle indagini. “Eni, che è una grandissima società ed è un vanto nazionale – dice Romano – forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti. Spero che chi lo farà in futuro sia più fortunato di noi”. “Quei documenti per i quali rinnovo l’appello a renderli pubblici – sottolinea Romano – possono contribuire a scrivere un altro pezzo importante di verità di quella tragica notte”.
Sullo sfondo, tra l’altro, c’è quel patto anomalo tra le due compagnie di navigazione, un patto di “non belligeranza” lo definisce Romano (che d’altra parte di professione fa il professore di storia contemporanea). Un accordo avvenuto poche settimane dopo l’incidente e che ebbe l’effetto di narcotizzare le inchieste, in particolare quella della Procura. “L’accordo assicurativo che altro non era che un patto di non belligeranza tra le compagnie – spiega Romano – dimostra che ci sono probabilmente documenti, in possesso dell’Eni, che potrebbero fornire ulteriore chiarezza su quanto accaduto e faccio appello ai vertici attuali della società affinché li renda pubblici 31 anni dopo per dare risposte definitive a 31 anni da quella che agli occhi dell’opinione pubblica è una strage”.