“Per una torta non si fanno le guerre, per il pane sì”. A dirlo è Francesco Pone, che lavora al panificio Costa di viale Zara a Milano. È una massima che gli ha insegnato la maestra delle elementari: considerato il bene di prima necessità di prima eccellenza, il pane sta diventando sempre più caro. Se ne accorge chiunque vada a fare la spesa e ne riassume le cause l’Associazione dei panificatori italiani e affini: “L’aumento esponenziale delle utenze del gas e dell’energia elettrica pongono a serio rischio la tenuta delle imprese della panificazione”. In questo modo, spiega il presidente di Assipan Antonio Tassone, “il rischio è che tra un paio di mesi il pane artigianale possa sparire dalle tavole degli italiani”.

Non solo guerra – Per resistere, le panetterie di quartiere sono spesso costrette a scaricare l’aumento dei costi sul consumatore. Di conseguenza, chi compra è spinto ad acquistare dove il pane costa meno, nelle grandi catene di supermercati. È una reazione a catena molto pericolosa secondo Tassone, che prosegue: “Le piccole e medie imprese di questo passo scompariranno lasciando spazio ai grandi operatori industriali”. Mentre il prezzo del pane a Milano supera abbondantemente i 4 euro al chilo, “si rischia di perdere fino a 1.350 imprese dell’intero settore della panificazione che potrebbero chiudere senza essere sostituite da nuove imprese, con una perdita di circa 5.300 posti di lavoro”. Lo si legge in una nota di Assipan, che chiede al governo misure di sostegno adeguate per evitare questo scenario.

“La guerra è un grave macigno che pesa sull’economia nazionale a tutti i livelli, influenzando la dinamica dei prezzi dei prodotti alimentari per via dei costi della logistica che si espandono su tutti i beni alimentari, a cominciare dal pane”, spiega Daniele Erasmi, il presidente nazionale della Federazione italiana esercenti specialisti dell’alimentazione. Il conflitto tra Russia e Ucraina quindi arriva sulla tavola degli italiani attraverso l’aumento dei costi dell’energia. A questo si aggiungono anche, continua Erasmi, “i rincari di grano e mais per diverse concause internazionali, che c’entrano poco con la guerra essendo provenienti solo per il 6% del grano tenero dall’area interessata dal conflitto bellico e ancor meno per il grano duro”. L’aumento dei prezzi delle materie prime, quindi, può essere assorbito dalle panetterie con minore difficoltà.

Caro energia – Il principale nemico da combattere è il caro energia. “Ad agosto siamo stati aperti solo una settimana, poi siamo andati in ferie. La bolletta per sette giorni è arrivata a settecento euro. Per settembre, ci aspettiamo che raggiungano il doppio rispetto all’anno scorso”, spiega il panettiere di viale Zara. Il problema non è destinato a risolversi da solo. Con l’inverno che si avvicina, tra qualche mese ci sarà via della stagione natalizia: il panettone tornerà a essere uno dei cibi più richiesti. La panificazione che è richiesta per questo dolce è particolarmente lunga e, quindi, molto costosa: “Le stufe stanno accese 18 ore, i macchinari devono andare avanti e il consumatore dovrà pagare di più”. Il risultato, conclude Francesco Pone, è scontato: “È tutto sballato, dovrò rifare food cost“. Il prezzo del pane del panificio Costa è nella media del capoluogo lombardo: 4.60 euro al chilo. “Dalla riapertura di settembre abbiamo aumentato di dieci centesimi, ma non è abbastanza. Gli aumenti della farina, però, si sono per fortuna fermati ad aprile”, quando quella di grano duro ha raddoppiato il suo costo, da 47 a 80 centesimi al chilo e quella di grano tenero è arrivata a 0,97.

In via Pola, il pane artigianale costa 4.80 euro al chilo. Anche qui, dieci centesimi in più rispetto a prima dei mesi estivi. Il problema è sempre il caro energia: per Il Forno di via Pola la bolletta dell’energia è triplicata, da 2700 a 7400 euro. Monica Ometto, che gestisce il negozio, non ha dubbi: “O aumentiamo i prezzi, o lasciamo a casa le nostre dipendenti”. Sarà quindi fondamentale che almeno i prezzi del grano continuino a scendere, come accade da metà maggio. Secondo il Financial Times, il picco è stato raggiunto il 17 del mese; fino a metà agosto è continuato a scendere, poi c’è stata una leggera risalita. Ora è stabile da qualche settimana. Per questo gli aumenti dei prezzi del pane sono esplosi intorno a maggio: Angela Zanardo, titolare di del panificio Marghera nell’omonimia via, ha portato il pane da 6 euro a 6,50 euro al chilo. Il suo negozio è in una zona centrale di Milano, gli affitti costano molto di più e anche i clienti sono in media meno attenti al portafoglio.

Costi fissi raddoppiati – Nel centro della città il prezzo del pane spesso sfiora i 6 euro al chilo, come dimostrano altre due panetterie che a causa del caro energia e degli affitti alti hanno dovuto rivedere al rialzo i costi per il consumatore. In una traversa della centralissima Corso Magenta, al forno Panbarons, il pane bianco arriva a 5,90 euro al chilo. Ilaria Cavallaro, panettiera di Bollani in piazzale Baracca, vende questo bene di prima necessità a 6 euro.

A pochi metri di distanza, il negozio di Veronica Vesco ha fissato il prezzo a 5,60 al chilo: la decisione di Buona bottega è di “non aumentare il prezzo del pane classico, fino a quando sarà possibile”. Stessa politica al Forno di Lina, panetteria di via Boni in zona Washington: tutto è rimasto ai prezzi di aprile, anche se le bollette fanno dubitare al titolare di poter continuare a non scaricare gli aumenti sui consumatori. A suggerire una via d’uscita è il presidente della Federazione italiana esercenti specialisti dell’alimentazione: “Il governo faccia un intervento quadro per sostenere la filiera alimentare stabilendo un prezzo massimo, un tetto a carburanti, luce e gas, considerato che nessuna impresa è in grado di sopportare il raddoppio dei costi fissi”.

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