Il presidente turco ha tutta l’intenzione di sfruttare a suo favore la scelta di non imporre sanzioni contro la Russia e il ruolo di mediatore assunto nel contesto bellico. Così, dalle forniture militari fino al dossier migratorio, cerca l'appoggio dell'omologo russo per raccogliere consensi interni. Col rischio di acuire i contrasti con l'Occidente
Con le elezioni che si avvicinano e un’economia sempre più in crisi, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha deciso di rivolgersi a Vladimir Putin per risalire nei sondaggi e far fronte alla crisi economica che attanaglia da tempo il paese anatolico. Erdogan, come da lui stesso rivelato durante l’ultimo tour nei Balcani, ha chiesto al presidente russo un importante sconto sull’acquisto del gas per poter abbattere i costi delle bollette e garantire la fornitura di energia ai cittadini a prezzi ridotti rispetto a quelli attuali. A settembre i costi dell’elettricità sono aumentati del 20% per le famiglie e del 50% per le industrie a causa della forte dipendenza turca dal mercato energetico internazionale che sta a sua volta risentendo della guerra in Ucraina. Il rincaro delle bollette, unito a un’inflazione arrivata ormai all’80% e al conseguente aumento del costo della vita, sta avendo un impatto negativo sul gradimento del presidente e del suo partito, l’AkParti. Secondo gli ultimi sondaggi di Metropoll, Erdogan sta perdendo consensi in favore degli sfidanti dell’opposizione, pur rimanendo ancora in testa.
Il presidente ha quindi tutta l’intenzione di sfruttare a suo favore la scelta di non imporre sanzioni contro la Russia e il ruolo di mediatore assunto nel contesto bellico per strappare prezzi più bassi sulle forniture di gas. Nel tentativo di convincere Putin, Erdogan ha anche rivolto parole dure contro l’Occidente nel corso del tour nei Balcani, accusando i Paesi che sostengono Kiev di aver provocato la Russia e di essere responsabili della crisi energetica in corso a causa delle sanzioni imposte contro Mosca. Sanzioni che hanno però permesso al presidente turco di indirizzare nel Paese i capitali russi, utili per rimpinguare le riserve estere della Banca centrale e poter acquistare la lira turca nei mercati finanziari. Il regime sanzionatorio imposto dall’Occidente ha anche portato a un incremento delle esportazioni turche verso la Federazione, aumentate del 60% a seguito dell’invasione dell’Ucraina.
Ma tra i flussi di denaro che uniscono Russia e Turchia vi è anche quello da 20 miliardi versato da Mosca per la costruzione della prima centrale nucleare nel Paese anatolico, progetto affidato alla compagnia statale russa Rosatom. L’impianto dovrebbe garantire alla Turchia maggiore indipendenza rispetto al mercato estero, in linea con l’obiettivo del presidente Erdogan di trasformare il Paese da importatore a hub energetico regionale.
Anche sul fronte militare i legami con la Russia potrebbero rafforzarsi, sempre in vista di un ritorno (anche) elettorale per il presidente. Erdogan sta cercando da tempo di ottenere dagli Usa nuovi jet F-16 e i kit di ammodernamento per quelli che già possiede, ma il via libera tarda ad arrivare a causa delle tensioni nell’Egeo. Per la Turchia però comprare nuovi caccia sta diventando un’esigenza sempre più impellente dato che la sua flotta rischia di diventare obsoleta nel giro di pochi anni. Da qui l’avvertimento del presidente, che ha ricordato come ci siano altri mercati a cui rivolgersi al di là di quello americano, tra cui quello russo. La mossa sarebbe particolarmente azzardata considerando che la Turchia fa parte della Nato, ma le parole di Erdogan servono a lanciare un messaggio al Congresso americano, schieratosi dalla parte della Grecia. Migliorare le capacità delle forze aeree turche nel momento in cui la contesa tra Atene e Ankara per il Mediterraneo ha raggiunto nuovi livelli di tensione serve anche al presidente per aumentare il proprio prestigio agli occhi di quell’opinione pubblica che vede la Grecia come un nemico.
Erdogan infine ha bisogno della Russia anche per gestire il dossier migratorio in maniera vincente e senza seguire la linea imposta al dibattito politico dai partiti più estremisti. Negli ultimi anni il sentimento anti-migranti è cresciuto all’interno della società turca, come dimostrano anche i numerosi episodi di razzismo ai danni dei siriani fuggiti in Turchia per la guerra. La maggior parte dei partiti stanno assecondando questo sentimento, promettendo rimpatri forzati e misure più severe per limitare i nuovi arrivi e rendere più difficile la vita di chi si trova già nel Paese. Erdogan invece sta puntando sul ripristino delle condizioni socio-economiche nella Siria del nord, area sotto il controllo dell’esercito turco, per incentivare il ritorno “volontario” di almeno un milione di siriani nel loro Paese. Il progetto in realtà è particolarmente contestato tanto dai siriani quanto dalle organizzazioni internazionali e ha comunque bisogno del beneplacito del presidente Bashar al-Assad per poter essere implementato. Da qui la necessità per Erdogan di convincere la Russia, alleata di Damasco, a sostenere questo piano e a concedergli un aumento della zona cuscinetto in cui installare i profughi siriani.
L’avvicinamento della Turchia a Mosca potrebbe quindi avere effetti positivi sul gradimento del presidente Erdogan, ma senza dubbio lo spostamento sempre più a oriente di un Paese Nato che possiede il secondo esercito di terra più forte dell’Alleanza preoccupa sempre di più l’occidente. Al momento però fare pressioni su Erdogan affinché si adegui alla linea assunta da Nato e Ue nei confronti della Russia non è un’opzione possibile dato il ruolo di mediatore che la Turchia ha assunto nella guerra in Ucraina.