È morto a Dubai Amedeo Matacena, l’ex parlamentare di Forza Italia latitante da quasi 10 anni negli Emirati Arabi. Aveva 59 anni e, stando a quanto si apprende dai suoi legali, gli avvocati Enzo Caccavari, Marco Tullio Martino e Renato Vigna, l’ex deputato è stato stroncato da un infarto. I soccorsi sono stati inutili: Matacena è morto subito dopo essere arrivato in ospedale. Da tempo viveva negli Emirati Arabi dopo che, nel 2012, era stato condannato in via definitiva per concorso esterno con la ‘ndrangheta. Matacena, infatti, era stato coinvolto nel maxi-processo “Olimpia”, nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che aveva fatto luce sui suoi rapporti con le cosche mafiose reggine.

Eletto alla Camera nel 1994, da parlamentare Matacena ha attaccato più volte i magistrati che indagavano su di lui. È stato, infatti, uno dei precursori dello stile berlusconiano, vedeva i giudici come i nemici della politica. In questo, Matacena ha goduto del sostegno della Giunta delle autorizzazioni della Camera che ha sempre dichiarato l’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato in alcune interrogazioni parlamentari e in alcune interviste per il quale aveva avuto numerose denunce per diffamazione nei confronti del magistrato della Dna Enzo Macrì, uno dei pm più esperti che per oltre 30 anni è stato in prima linea contro la ‘ndrangheta calabrese.

In particolare, nell’agosto 2005 il periodico L’indipendente aveva pubblicato un articolo dal titolo “Matacena non va in carcere e spara a zero sul giudice Macrì”. Quest’ultimo veniva indicato dall’ex parlamentare indagato come “l’ispiratore di un complotto contro il Matacena stesso”. In particolare, il futuro latitante a Dubai aveva affermato che “Vincenzo Macrì è un soggetto neurolabile e ho chiesto al Guardasigilli che venga sottoposto ad una visita medica collegiale”. Neanche a dirlo, per la Giunta delle autorizzazioni alla Camera, “le frasi proferite dall’onorevole Matacena costituiscono, con chiara evidenza, un giudizio ed una critica di natura sostanzialmente politica su fatti e circostanze che all’epoca erano al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica reggina nonché del dibattito politico-parlamentare locale e nazionale”. Insomma, per la Giunta si sarebbe trattato solamente di “opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni”.

Figlio dell’omonimo armatore delle Caronti, morto nel 2003, Amedeo Matacena è stato al centro di altre inchieste giudiziarie. Nel 2004 è stato arrestato dalla Procura di Catanzaro nell’operazione sul “Caso Reggio”, ma poi è stato assolto. Nel 2014, la Dda di Reggio Calabria e il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo avevano chiesto il suo arresto nell’ambito dell’inchiesta “Breakfast” in cui era accusato di intestazione fittizia. È l’indagine che ha portato all’arresto della sua ex moglie, Chiara Rizzo, e dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, accusati di procurata inosservanza della pena e condannati in primo grado rispettivamente a 1 e 2 anni di carcere. Nei confronti di Matacena, però, la Dia non è riuscita a eseguire il provvedimento di arresto perché l’ex parlamentare si era già trasferito a Dubai dopo una breve permanenza alle Seychelles.

A causa della mancata estradizione dagli Emirati Arabi, quindi, quell’ordinanza è rimasta tale fino a poche settimane fa quando il gip l’ha revocata a causa del lungo tempo trascorso dalla data di commissione dei reati contestati. Matacena, in passato, era stato legato all’annunciatrice televisiva Alessandra Canale. Dopo il divorzio dall’ex moglie, Chiara Rizzo, si era da poco risposato con Maria Pia Tropepi, ex modella e medico. Ritornando alla sua latitanza, nel 2023 la pena a cui è stato condannato si sarebbe estinta e Matacena sarebbe potuto rientrare in Italia.

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