Il maxi-processo “Rinascita-Scott” si terrà davanti a un nuovo collegio di giudici. Almeno per quanto riguarda la posizione del boss Luigi Mancuso di Limbadi, il principale imputato del processo nato dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro. Dopo la Cassazione, anche la Corte d’Appello di Catanzaro ha dato ragione agli avvocati Francesco Calabrese e Paride Scinica che avevano ricusato due dei tre componenti del Tribunale di Vibo Valentia, i magistrati Brigida Cavasino e Danila Gilda Romano, rispettivamente presidente e giudice a latere del maxi processo.
La ricusazione era stata dichiarata inammissibile ma l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro era stata annullata nei mesi scorsi dalla Suprema Corte. Decisione alla quale il nuovo collegio della Corte d’Appello, presieduto da Caterina Capitò (a latere Assunta Maiore e Barbara Saccà), si è dovuto adeguare. Mancuso, detto il “Supremo” e “lo zio”, è accusato di associazione per delinquere quale membro apicale dell’intera area della ‘ndrangheta vibonese e dell’articolazione di Limbadi. La ricusazione era stata motivata dagli avvocati con il fatto che i due giudici Cavasino e Romano “avevano già espresso un giudizio di merito pieno sulla posizione di Luigi Mancuso nell’ambito del processo Nemea”. Secondo i legali Calabrese e Scinica, infatti, nella sentenza del processo “Nemea”, “depositata in data 5.3.2021, riguardante l’esistenza e l’operatività della cosca Soriano, il Tribunale di Vibo Valentia avrebbe valutato il contesto associativo ‘ndranghetistico comune a tutti gli originari coimputati del reato di cui all’articolo 416 bis, esteso all’intero territorio calabrese e in altre parti del territorio nazionale ed estero, retto dalla figura di vertice rappresentata da Luigi Mancuso”.
Accogliendo la ricusazione dei due giudici, la Corte d’Appello di Catanzaro scrive che il Tribunale di cui facevano parte le dottoresse Cavasino e Romano, in quella sentenza, aveva fatto “riferimento a Luigi Mancuso esprimendo sul suo conto una valutazione di merito, nella quale egli viene descritto quale ‘vertice dell’area cui facevano capo le altre articolazioni criminali’”. Per la Corte, in sostanza, “la valutazione dell’operatività del Mancuso nel ruolo apicale operata nel processo Nemea al fine di valutare la posizione associativa dei Soriano, fondata sulla valutazione di fonti di prova in parte coincidenti con quelle del processo Rinascita-Scott, ha senz’altro integrato una valutazione di merito sullo stesso fatto associativo per il quale è imputato nel processo in corso. Di conseguenza, ciò concretizza l’ipotesi di ricusazione”. Tanto basta, quindi, per stralciare la posizione di Luigi Mancuso nella prossima udienza del processo “Rinascita-Scott”. Per tutti gli altri, prosegue il processo nato dall’inchiesta, condotta dal procuratore Nicola Gratteri e dalla Dda di Catanzaro, che ha portato nel dicembre 2019 a oltre 300 arresti. In manette erano finiti i vertici della ‘ndrangheta vibonese, e tra questi appunto Luigi Mancuso, ma anche i “colletti bianchi” al servizio della cosca, politici e imprenditori tra cui, per esempio, l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.