Nando è rimasto intrappolato in casa, al primo piano. Giuseppe e suo figlio Andrea non sono riusciti a scappare dal garage dove erano scesi per cercare di salvare le auto. Noemi è stata trascinata via da acqua e fango dopo che era salita in macchina con sua madre Brunella, ancora tra i dispersi. In tutto sono al momento undici le vittime accertate dell’alluvione nelle Marche. Per qualcuno poteva andare diversamente se in Italia fosse già attivo il sistema nazionale di allarme pubblico IT-alert, come previsto da una direttiva europea? In caso di emergenze imminenti o catastrofi in corso, il servizio consentirebbe di inviare messaggi di allarme sui cellulari dei cittadini presenti nella zona a rischio. Verrebbe anche superato il problema denunciato dai sindaci dei comuni marchigiani colpiti dall’alluvione, cioè di non essere stati avvisati della reale entità del pericolo ma di aver ricevuto solo la comunicazione di un allerta “gialla”: i messaggi di IT-alert raggiungerebbero i cittadini in modo diretto, senza alcuna intermediazione dei loro sindaci.
Sistema di allarme pubblico non ancora operativo – A differenza di altri Paesi europei, però, in Italia il sistema è ancora in via sperimentale, nonostante negli ultimi anni siano sempre più frequenti gli eventi climatici estremi che mettono a rischio la vita delle persone. E nonostante la direttiva europea n. 1972 dell’11 dicembre 2018 fissasse il 21 giugno 2022 come data per l’entrata in funzione di tale sistema. “Entro il 21 giugno 2022 – si legge infatti all’articolo 110 – gli Stati membri provvedono affinché, quando sono istituiti sistemi di allarme pubblico in caso di gravi emergenze e catastrofi imminenti o in corso, i fornitori dei servizi mobili di comunicazione interpersonale basati sul numero trasmettano allarmi pubblici agli utenti finali interessati”. Ma in Italia il sistema non è ancora stato utilizzato nei casi reali di emergenza, come l’alluvione delle Marche dimostra. È stato invece utilizzato lo scorso aprile nel corso di un’esercitazione sull’isola di Vulcano, dove è stata simulata un’eruzione e IT-alert è stato testato per la prima volta.
All’indomani della prova la vice capo della Protezione civile, Titti Postiglione, diceva in un’intervistata a Repubblica: “Non è vero che non rispetteremo il termine che l’Europa indica, il 21 giugno, per dotarsi di un sistema di allarme pubblico. Noi siamo in linea, abbiamo una tecnologia che funziona. IT-Alert è operativo, in via sperimentale. Non abbiamo ancora un test completo a livello nazionale. Ma in linea teorica, se dopodomani dovessimo lanciare un allarme pubblico per un incidente a una centrale nucleare vicino ai nostri confini, potremmo farlo”. In linea teorica, perché nella realtà dei fatti il sistema non è operativo e l’altra notte, nelle aree colpite dall’alluvione, non è stato lanciato alcun allarme pubblico via cellulare.
I ritardi dell’Italia – Perché l’entrata in funzione di IT-Alert è in ritardo? Alla domanda posta da ilfattoquotidiano.it, la Protezione civile risponde: “Allo stato attuale è già stata realizzata l’infrastruttura che consente l’esecuzione di test che riguardano l’implementazione tecnologica, l’invio e la ricezione dei messaggi in vari formati, l’analisi dei feedback riguardo alla reazione alla ricezione, alla comprensione del testo e alla massimizzazione dell’efficacia comunicativa. Attualmente la sperimentazione prosegue per garantire il rispetto dei requisiti richiesti nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e per eliminare eventuali vulnerabilità residue. Per queste ragioni, IT-alert rimane, al momento, in uno stato sperimentale”. A differenza che da noi, in altri Paesi europei il sistema di allarme funziona già, anche nei casi di emergenza reale. In Francia, per esempio, FR-alert è stato attivato lo scorso giugno, entro la data prevista dalla direttiva, come si legge sul sito istituzionale www.service-public.fr. In Olanda un sistema di allarme nazionale via cellulare è operativo addirittura da una decina di anni.
Che in Italia ci siano stati dei ritardi è indubbio, visto che nel settembre 2018, a un anno dall’alluvione a Livorno e tre mesi prima dell’entrata in vigore della direttiva europea, l’allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli annunciava su questo giornale la nascita di un sistema di allerta centralizzato per mandare comunicazioni alle persone in base alla loro posizione geografica: “Spero diventi realtà il prima possibile, entro un anno o due”. Da allora, di anni, ne sono passati già quattro.
Step burocratici e criticità da risolvere – Dopo la direttiva europea di fine 2018, il sistema di allarme pubblico viene citato per la prima volta in una norma italiana nel decreto legge n. 32 del 18 aprile 2019, che prevede di utilizzare il “cell broadcasting”, tecnologia che consente “la diffusione di messaggi a tutti i terminali presenti all’interno di una determinata area geografica individuata dalla copertura radiomobile di una o più celle”. Il successivo decreto n. 110 del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2020 istituisce un Comitato tecnico coordinato dalla Protezione civile che si occupi del monitoraggio e dell’aggiornamento delle modalità di funzionamento di IT-alert e stabilisce che il servizio entri in una fase sperimentale da inizio ottobre 2020.
Di ottobre 2020 è anche una direttiva del Presidente del Consiglio che definisce le tipologie dei messaggi da inviare ai cellulari dei cittadini (messaggi di allerta, di pericolo, di emergenza, di test o di esercitazione) e prevede che la sperimentazione duri 24 mesi. Lo sforamento della scadenza del 21 giugno 2022 viene così messo nero su bianco. Tanto più che la direttiva di Palazzo Chigi stabilisce che al termine dei 24 mesi di sperimentazione, se saranno necessarie azioni correttive, il servizio IT-alert opererà per altri sei mesi in regime transitorio, in modo da consentire gli adeguamenti necessari a valle dei quali diventerà definitivamente operativo.
Al momento il sistema è ancora da rodare. Secondo quanto si legge sul sito ufficiale www.it-alert.it, restano ancora da superare “tre macro-criticità, che impediscono oggi l’utilizzo sicuro, chiaro e responsabile del sistema che si era immaginato di rendere operativo: la sicurezza dell’infrastruttura tecnologica, l’ambito di operatività del sistema pubblico di allarme e la definizione della governance del sistema”.