La questione palestinese rimane nel cuore stesso del sistema internazionale. Una soluzione equa e sostenibile di tale questione deve essere basata sul pieno riconoscimento del diritto di milioni di Palestinesi ad essere persone umane, cittadine di un proprio Stato indipendente e comunque titolari dei diritti umani che spettano a tutte e tutti a prescindere dalla loro origine, a cominciare da quello fondamentale alla vita. Così oggi non è. Non passa giorno che qualche palestinese non venga barbaramente ucciso dalle forze israeliane occupanti, che approfittano di una scandalosa impunità derivante dalla scandalosa connivenza da parte delle Potenze occidentali dominanti (Stati Uniti e loro satelliti, compreso purtroppo il nostro Paese) che permettono loro ogni violazione del diritto ed ogni crimine di guerra e contro l’umanità.
Da ultimo abbiamo assistito alla macabra farsa dell’autoassoluzione da parte di Israele per l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, assassinata mentre svolgeva il suo lavoro. Non è per nulla credibile la versione dell’uccisione “per sbaglio” invocata dalle autorità israeliane. La magistratura israeliana, negando la verità e la più elementare delle giustizie, ha reso un pessimo servizio innanzitutto a se stessa e allo Stato di cui fa parte. Quest’ultimo, secondo l’accurata ricostruzione dei dati di fatto e di diritto effettuata da Amnesty International, rappresenta del resto la negazione in radice di ogni idea e principio di Stato di diritto. La legge suprema che regge tale Stato, contraddicendo in modo plateale talune premesse contenute nella sua stessa Costituzione, è, sempre secondo Amnesty, quella dell’apartheid, che consiste nell’esclusione formale e sostanziale di milioni di persone cui viene negata ogni dignità di persone umane.
Si tratta di un autentico scandalo che non potrà ancora durare a lungo. Sappiamo com’è finito il Sudafrica razzista, che per decenni ha praticato l’apartheid per arrendersi alla fine, sia pure a costo di migliaia di vittime, al principio fondamentale dell’eguaglianza tra gli esseri umani. Anche in quel caso le Potenze occidentali hanno a lungo ostentato ipocrisia e omertà, privilegiando interessi geopolitici ed economici a basilari considerazioni di umanità e civiltà giuridica. Un’analoga rifondazione dello Stato, basato sulla convivenza pacifica e cooperativa di due Stati ovvero sull’attribuzione, all’interno di un unico Stati, di diritti uguali a tutte le persone che vi risiedono, dovrà avvenire prima o poi anche rispetto a Palestina ed Israele, e sarà prima di quanto non si possa oggi pensare.
Lo stato d’eccezione vigente nel territorio occupato della Cisgiordania costituisce con nettezza, la principale, ma non l’unica, espressione di tale regime di apartheid. Da ultimo tale regime che ogni giorno viola i diritti dei Palestinesi, considerati alla stregua di meri oggetti passivi nei cui confronti è consentito perpetrare ogni sopruso ed ogni crimine, si è esteso fino a comprimere anche i diritti dei cittadini di Paesi terzi che si trovino nell’area.
I principi dell’autodeterminazione e del rispetto dei diritti umani, invocati dalle Potenze occidentali in relazione alla complessa situazione del conflitto ucraino, vengono da oltre cinquantasei anni disattesi nei confronti del popolo palestinese. Ne va di mezzo la credibilità stessa dell’Occidente, sempre più palesemente incapace di instaurare sul piano del diritto internazionale un sistema che sia anche solo timidamente e lontanamente ispirato al rispetto di tali principi.
La Palestina costituisce quindi oggi più che mai una vera e propria pietra di paragone e dal modo in cui la comunità internazionale, sempre meno occidentale e sempre più multipolare, riuscirà di dare una risposta a tale problema, inevitabilmente fondata sui diritti del popolo palestinese, si potrà valutare fino a che punto la nostra umanità può sperare nell’avvento di un ordine internazionale pacifico e cooperativo, in grado di dare una risposta soddisfacente ai numerosi problemi che ci assillano e ci travagliano attualmente, dalle guerre al cambiamento climatico, dalle pandemie alla crescita di mafie, disuguaglianze e povertà.
Nessun ordine internazionale valido e duraturo può infatti essere fondato sull’ingiustizia e sull’arbitrio del più forte.
Per il terzo anno consecutivo se ne parlerà a Roma, dal 22 al 25 settembre al Festival “Falastin” (circolo ARCI “Concetto Marchesi” di via del Frantoio) ricco di momenti di confronto politico e di arricchimento culturale. Fra i tanti segnalo, sabato 24 settembre ale ore 20.30 il dibattito coordinato da Michela Arricale, candidata di Unione Popolare alla prossime elezioni politiche e copresidente, col sottoscritto, del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED), che vedrà la partecipazione dell’Ambasciatrice palestinese Abeer Odeh,e di varie personalità di rilievo, tra le quali Alessandro Di Battista, Stefano Fassina e Luisa Morgantini. E alle 22.30 il concerto del celeberrimo gruppo napoletano 99 posse.