Quando una tragedia ha un precedente dal quale sono passati otto anni, come nel caso dell’alluvione nelle Marche, l’unica cosa che dovremmo sentirci dire è che era stato fatto tutto il possibile. Ma non è questo il caso e l’eccezionale quantità d’acqua piovuta in poche ore non giustifica che, in tanti anni, di interventi volti alla prevenzione e alla riduzione del rischio esondazioni se ne siano visti ben pochi. Eppure la strada da fare e la direzione da prendere erano già state messe nero su bianco nell’assetto di progetto approvato dalla Regione Marche il 25 marzo 2016 con la delibera del Comitato istituzionale dell’Autorità di Bacino regionale firmata dall’allora governatore Luca Ceriscioli e dall’allora segretario generale dell’Autorità di Bacino, il geologo Marcello Principi. La priorità? Le vasche di laminazione per ridurre il volume delle possibili piene. Ma l’unica per cui sono partiti i lavori e solo lo scorso febbraio è quella prevista addirittura dagli anni ottanta. Delle altre vasche previste nel 2016 non si è più saputo nulla. Un bilancio clamoroso, dove gli altri lavori avviati non servono a mitigare i rischi. E’ stato lo stesso Principi a intervenire pubblicamente, il 25 novembre 2021, ponendo seri dubbi sulle scelte della Regione: “Rischiamo di fare opere costosissime e di non avere benefici”. Ormai in pensione, in quell’occasione ha parlato da cittadino di fronte alla II commissione del consiglio comunale di Senigallia, avvertendo che “la mitigazione delle piene, come riconosciuto a livello nazionale e internazionale, si fa a monte del bene che si vuole tutelare, e non a valle”. L’esatto contrario di quanto avvenuto fino ad oggi.
L’assetto di progetto consegnato e approvato a inizio 2016 è il risultato degli studi condotti da un gruppo di lavoro interistituzionale costituito dopo l’alluvione che aveva colpito la valle del Misa e i suoi comuni nel maggio 2014 causando quattro vittime. In un anno il gruppo produsse una relazione che individuava gli interventi prioritari e la stima dei fondi necessari: 100 milioni di euro per la messa in sicurezza dell’intero bacino del Misa, compresi i 48 milioni per le opere a priorità elevata da cui partire. Il sindaco di Senigallia, capofila per i comuni di Ostra, Ostra Vetere, Corinaldo e Trecastelli dà l’ok insieme alla Provincia definendo le opere prioritarie “improcrastinabili“. In merito alle priorità il progetto è chiaro: “All’interno degli interventi ad alta priorità vanno considerati come principali quelli atti a ridurre la portata di picco pertanto le aree di laminazione hanno un ruolo preponderante“. In parole povere, prima di tutto bisogna intervenire a monte costruendo vasche che sottraggano volume all’onda di piena così da alleggerire il resto del percorso tra gli argini, a partire da quelli che attraversano il centro storico di Senigallia. Tra le risorse economiche già assegnate al bacino del Misa, la delibera del 25 marzo 2016 registra la disponibilità di 4 milioni dell’Accordo di Programma tra Regione e ministero dell’Ambiente del 2010, oltre ad altri quattro milioni di fondi europei per “l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi”. Il resto, scrivono Regione e Autorità di Bacino, è oggetto di richiesta di finanziamento già inserita nel Repertorio nazionale interventi difesa del suolo (Rendis).
Una road map definita e condivisa, dunque. Perché allora il geologo che ne firmò l’approvazione sostiene che la strada seguita è un’altra? A volere Marcello Principi in consiglio comunale erano stati i consiglieri d’opposizione del Pd Dario Romano e Chantal Bomprezzi, che hanno dovuto attendere otto mesi per riuscire a convocare la seconda commissione. L’intervento di Principi a novembre è duro: “Veramente non vedo la connessione tra riduzione del rischio idraulico e le opere avviate, irrilevanti sulla mitigazione dei rischi per il centro di Senigallia”. Le opere sono quelle decise dopo che nel dicembre 2018 la Regione di Ceriscioli affida i fondi europei già citati nella delibera del 2016 al Consorzio di Bonifica delle Marche. Nello schema di convenzione tra Regione e Consorzio del 17 dicembre 2018 si legge: “L’esatta individuazione degli interventi sarà effettuata su proposta del Consorzio di Bonifica delle Marche ed approvazione della P.F. (uffici regionali, ndr)”. Insomma, le priorità già definite sembrano messe da parte. E infatti tra gli interventi individuati ci sono opere mai menzionate tra quelle a elevata priorità nell’assetto di progetto, a partire dal prolungamento del molo di Levante nel porto di Senigallia. Ma anche il dragaggio del tratto più a valle del Misa e il rifacimento del ponte “2 giugno”, spiegherà Principi lo scorso novembre, non possono considerarsi prioritari rispetto alla necessità di fare interventi a monte, quelli in grado di “ridurre la portata durante le piene tramite lo stoccaggio temporaneo di parte del volume dell’onda di piena”. Il capogruppo del Pd in comune a Senigallia, Dario Romano, ha più volte cercato chiesto “il perché di una deviazione rispetto all’assetto di progetto”. “Ho anche esortato il Comune a rappresentare la richiesta di fronte alla Regione, che però risposte non ne ha mai date”, racconta oggi.
“Se avessimo realizzato tutto quello che era previsto nell’assetto di progetto approvato nel 2016 il rischio si abbatteva di tanto“, dice oggi il geologo Principi a ilFattoquotidiano.it. Quanto? “Impossibile dirlo rispetto alle condizioni verificatesi in questi giorni”, risponde, confermando però quanto detto in comune a novembre: “La priorità dovevano essere gli interventi a monte”. Al contrario, a tanti anni dall’alluvione del 3 maggio 2014 quello che la cittadinanza ha potuto vedere sono lavori che, al netto della necessaria manutenzione di alcuni tratti di argine, non ridurrebbero in alcun modo il rischio piene. Anche parte dei 4 milioni dei fondi dell’Accordo di Progetto del 2010 tra regione e ministero sono finiti nel rafforzamento degli argini. E lo Stato? I fondi per la sola progettazione delle opere proposte dalla Regione nel 2016 arrivano appena nel 2020: 321 mila euro per progettare una decina di milioni di interventi legati alle priorità definite nel 2016. Ai tempi della burocrazia si sommano le amministrazioni locali che cambiano, e così i commissari, i funzionari dei ministeri. E nelle more di interventi prioritari che non arrivano si finisce per interrogarsi sulla manutenzione ordinaria, che diventa priorità anch’essa, con argini ancora inadeguati e con la pulizia del letto del fiume mai portata a termine.
Come non bastasse, appena due mesi fa è stato arrestato un funzionario regionale perché sospettato di usare proprio gli appalti della manutenzione dei fiumi per ottenere favori: pieni di carburante, cene e una festa di laurea per la figlia, è l’ipotesi degli inquirenti. Così ad oggi di realmente utile è stato fatto poco. Nulla rispetto alle vasche di laminazione elencate nell’assetto di progetto per i fiumi Misa e Nevola. Anzi, tra quelle prioritarie si dava “per fatta” quella di Brugnetto, da situare dove i due fiumi si incontrano, perché “già in fase di appalto integrato”. Troppo ottimismo: i lavori di questa area di laminazione sono partiti solo a febbraio di quest’anno, gli unici. La sola “buona notizia” che la consigliera comunale Bombrezzi inserisce nella sua relazione sulla seduta del 25 novembre scorso, dopo l’intervento di Principi. “Dopo anni, le vasche di espansione dovrebbero partire, nel percorso di costruzione, da febbraio 2022. I lavori dovrebbero durare all’incirca 2 anni”, scrive Bombrezzi. Lo scorso 15 settembre il Misa e le piogge hanno deciso che due anni erano troppi.