Nel giorno in cui prosegue – anche se è alle prime udienze – il processo sul crollo del ponte Morandi a Genova, sulle pagine de La Verità si legge che esiste un’indagine, al momento contro ignoti, sui soldi dei pedaggi che secondo chi ha denunciato sarebbe stati spesi per pagare prestiti e non la manutenzione di opere che ne avrebbero avuto bisogno. L’esposto era stato presentato a Genova, ma per decisione della Cassazione il fascicolo compete a Roma. Secondo chi ha denunciato il punto di partenza si trova nei bilanci di Autostrade per l’Italia dove si parla della cosiddetta IV convenzione aggiuntiva Anas-Autostrade del 23 dicembre 2002 il cui iter amministrativo si è concluso con un decreto legge del 2003 convertito in legge nel 2004.
Ebbene quella norma prevedeva incrementi nei pedaggi che andavano ad aggiungersi alla tariffa forfettaria a chilometro introdotta nella convenzione del 1997 e avrebbe portati alla privatizzazione. Si trattava di una seconda quota di pedaggio destinata a finanziare nuove infrastrutture: nove svincoli, la terza corsia del Grande raccordo anulare, la quarta della Milano-Bergamo, la Lainate-Como-Grandate, la terza corsia della Rimini nord-Pedaso. E anche la Gronda di Ponente. Parte di queste opere, stando all’esposto, non sarebbe mai stata realizzata e i fondi destinati a esse sarebbero comunque stati incassati e serviti a finanziare il debito da 8 miliardi che Atlantia aveva contratto con gli azionisti di Aspi quando aveva realizzato l’Opa per acquistare il 53,8 per cento di azioni a un prezzo considerato all’epoca elevato. Il margine di utile, stando all’ipotesi di chi ha presentato l’esposto, potrebbe aver raggiunto il 25% ogni anno rispetto ai costi degli investimenti effettivamente sostenuti. Gli utili però sarebbero stati per saldare i mutui accesi con le banche per acquistare le azioni. Gli inquirenti romani, ormai mesi fa, avevano delegato la Guardia di Finanza di Roma e gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria hanno depositato una informativa con i primi accertamenti preliminari.