Il Tribunale di Milano ha rimesso all’organo di giustizia comunitaria tre questioni cruciali sul rispetto della normativa europea sulle emissioni industriali e la prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento che lo Stato Italiano, secondo numerosi cittadini tarantini, non applica. L’Aia concessa doveva essere realizzata in 7 anni e quindi terminare nel 2019, ma le varie proroghe concesse l’hanno spostata fino al 2023
L’ex Ilva di Taranto finisce davanti alla Corte di giustizia europea che questa volta potrebbe mettere la parola “fine” alla lunga e complessa vicenda dell’acciaieria. Il Tribunale di Milano ha rimesso all’organo di giustizia comunitaria tre questioni cruciali sul rispetto della normativa europea sulle emissioni industriali e la prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento che lo Stato Italiano, secondo numerosi cittadini tarantini, non applica. Ed è proprio sui tempi, in particolare sull’adeguamento delle attività industriali rispetto alle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale che si dovrà concentrare la corte. La normativa europea, infatti, prevede che gli impianti degli Stati membri possano essere autorizzati a produrre solo se in possesso di un’autorizzazione e, soprattutto, che ne devono rispettare le condizioni fissate: sulla questione Ilva, però, i tempi di adeguamento all’Autorizzazione integrata ambientale sono stati più volte prorogati nel corso degli ultimi anni.
Per questo il Tribunale di Milano ha chiesto ai giudici dell’Ue di esprimersi in merito alla possibilità che le norme contenute nella direttiva del 2010 siano di fatto inapplicate perché l’Italia pur “in presenza di un’ attività industriale recante pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, può differire il termine concesso al gestore per adeguare l’attività industriale all’autorizzazione concessa, realizzando le misure ed attività di tutela ambientale e sanitaria ivi previste, per circa sette anni e mezzo dal termine fissato inizialmente e per una durata complessiva di undici anni”. In parole semplici i giudici hanno chiarito che, dopo il sequestro del 2012, l’Autorizzazione concessa a Ilva doveva essere realizzata in sette anni e quindi terminare nel 2019, ma in realtà le varie proroghe concesse dai governi l’hanno spostata pian piano fino al 2023.
E se in passato, con due sentenze differenti, era stata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a bacchettare l’Italia affermando che non aveva ancora tutelato i cittadini tarantini dalle emissioni velenose della fabbrica, ora sarà la Corte di Giustizia Europea a intervenire sulla vicenda per definire se le norme comunitarie abbiano o meno prevalenza su quelle italiane. Le altre due questioni, infatti, riguardano il “ruolo della Valutazione di Danno Sanitario nel procedimento di rilascio e riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale”, il “set delle sostanze nocive che devono essere considerate ai fini del rilascio e riesame”. Questioni non di poco conto visto che secondo quanto emerge dagli atti, a distanza di dieci anni dal sequestro degli impianti e decine di decreti Salva Ilva, l’acciaieria ionica continua a inquinare ancora.
E così, mentre il governo approva un’altra gigantesca iniezione di denaro – quasi 2 miliardi di euro – nella società Acciaierie d’Italia attraverso Invitalia, un gruppo di cittadini tarantini porta nuovamente lo Stato in un’aula di tribunale. La decisione dei giudici lombardo è la conseguenza di una “azione inibitoria collettiva”, una sorta di anti camera di una class action, promossa da 11 cittadini di Taranto, tra cui un bambino di 8 anni affetto da una malattia rarissima che conta otto casi al mondo, e dall’associazione “Genitori tarantini”: sono stati gli avvocati Maurizio Rizzo Striano e Ascanio Amenduni a elaborare e presentare l’istanza con la quale si chiede sostanzialmente di chiudere, senza se e senza ma, tutte le fonti inquinanti.
“Siamo felici – ha commentato Amenduni a ilfattoqtuodiano.it – che il tribunale non sia fermato alle leggi italiane di proroghe, ma abbia deciso di chiedere se una proroga così lunga sia conforme alle direttive europee antinquinamento. Si delinea una situazione promettente perché sulla situazione di Taranto oltre alla risoluzione dell’Onu possiamo aspettarci l’intervento protettivo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea”. E proprio alcune parole contenuto nel Rapporto dell’Onu sulla questione Taranto sono finite nei giorni scorsi sui cartelloni ideati dall’associazione: c’è scritto “Taranto, Zona di sacrificio”.