di Kevin De Sabbata*

Per molti italiani l’Inghilterra è essenzialmente Londra e la Regina. Così, anche in questi giorni la narrazione, nel nostro paese, è sembrata dominata da un lato dall’esaltazione dell’iconica figura di Elisabetta II e dall’enfasi sul folklore dei riti funebri, dall’altro da chi si affretta a spiegare che, ora che a Buckingham Palace non c’è più Lei, la monarchia ha i giorni contati. In realtà, vista dalle Midlands inglesi, da dove scrivo, la situazione è più complessa (e interessante) di quanto sembri. La Gran Bretagna è molto diversa dalla Londra ricca, dinamica, cosmopolita e cool che conosciamo. Il resto del paese è, spesso, molto più grigio, conservatore e isolano. Ci sono vaste aree che, a partire dall’era Thatcher, si sentono completamente abbandonate e a cui i governi degli ultimi vent’anni si sono assicurati di far arrivare meno finanziamenti possibili.

Mentre a Londra spuntano linee della metro come funghi, a Stoke-on-Trent, la città dell’università dove insegno, si fatica a trovare un bus dopo le sei e un pub che ti serva dopo le otto. Qui la Regina è spesso (e paradossalmente) sembrata l’unica istituzione affidabile e dalla parte del popolo. Così, l’annuncio della sua morte ha lasciato ancora di più qui che altrove un senso di vuoto e d’incertezza. Come mi ha detto qualcuno qui, “la Regina ci ha fatto una promessa e l’ha mantenuta; e oggi questo non lo fa nessuno”. Ciò non vuol dire che il Regno Unito non sia ancora una nazione economicamente vivace, con un mercato del lavoro dinamico e meritocratico e una burocrazia di solito efficiente. Tuttavia, negli ultimi anni, si ha l’impressione che tutto questo stia crollando e il paese non sia governato, anche nelle cose un tempo basilari (ultimamente ho sentito parlare con invidia della puntualità dei treni italiani).

Con la reputazione dei politici ai minimi storici e i governi sempre più instabili che tendono a creare crisi invece di risolverle, un politico come capo dello stato non sembra una grande idea, indipendentemente dalla statura di chi è sul trono. Dieci giorni fa, all’annuncio della morte, c’era effettivamente un’atmosfera da Armageddon e il dubbio che Carlo non fosse del tutto in grado di raccogliere l’eredità della madre. Ora, molti di questi dubbi sembrano essere tramontati. Gli inglesi tendono istintivamente a credere più di noi italiani alle dichiarazioni formali. Lo si vede nella vita quotidiana, nel dibattito politico e nei rapporti con la burocrazia. Così, è bastato l’abile e commosso King’s Speech di due venerdì fa per rassicurare anche molti scettici. Inoltre, il protocollo sta dando una grande mano a Re Carlo.

Dopo decenni di silenziose innovazioni elisabettiane, le regole di palazzo prevedono ora che ogni più piccolo evento sia trasmesso in diretta televisiva e che il nuovo Re appaia continuamente ai vari angoli della nazione per incontrare gente e stringere mani. Così, dopo una settimana di cerimonie in cui è ovunque a reti quasi unificate, dicendo sempre quello che la nazione si aspetta, io e gli altri che come me si sono accampati per le strade di Londra ad assistere agli impressionanti cortei funebri in onore della sovrana avevamo la bizzarra sensazione che Carlo fosse sul trono da anni; decisamente una lezione da non sottovalutare nell’era dell’immagine e della comunicazione totale.

Naturalmente, tutto ciò ha un sapore diverso a seconda del luogo del paese da cui lo si osserva. Però, anche nelle nazioni del Regno meno affezionate alla monarchia il gioco sembra aver finora funzionato. Morire a Balmoral, coinvolgendo così la Scozia in un rituale collettivo che altrimenti sarebbe apparso ancora una volta anglo-centrico, potrebbe essere stato l’ultimo colpo di genio di Elisabetta. In Galles, ci sono sì stati dei malumori per la scelta del Re di trasferire direttamente al figlio quel titolo di principe che i gallesi considerano usurpato dai Windsor senza un previo dibattito pubblico; tuttavia, il locale movimento indipendentista e repubblicano sembra avere una minore forza di mobilitazione degli anni 70. In Irlanda del Nord, specialmente dopo la Brexit, sembrano avere molti più problemi con il governo britannico che con la monarchia.

Bisognerà vedere come la situazione evolverà dopo che l’onda di emozione sarà passata e quanti errori il nuovo sovrano riuscirà ad evitare, ma finché il prestigio della politica, anche in Inghilterra, continuerà a scivolare così vertiginosamente verso il basso, la corona di Carlo III potrebbe essere più al sicuro del previsto.

*docente Facoltà di Giurisprudenza della Keele University, nelle Midlands (UK)

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