Una ventina di attivisti russi sta cercando di portare davanti alla Corte suprema di Mosca il governo di Vladimir Putin, con l’accusa di ignorare la crisi climatica e di non stare adottando misure adeguate per affrontarla. Il gruppo spinge per l’approvazione di un piano per ridurre le emissioni di gas serra, in linea con l’obiettivo degli accordi sul clima di Parigi del 2015. Si tratta della prima causa sul clima nel Paese e potrebbe anche essere l’ultima a finire davanti alla Corte europea dei Diritti Umani: la Russia si è ritirata dall’organo il 16 settembre. La speranza è risvegliare una maggiore consapevolezza sull’emergenza ecologica a livello internazionale, ma soprattutto nazionale. “L’inerzia delle autorità è un crimine contro il nostro futuro – afferma Arshak Makichyan, il 27enne armeno che ha fondato Fridays for Future a Mosca – Devono prendersi la responsabilità di quello che non hanno fatto negli ultimi vent’anni. Ora, con le conseguenze della guerra sull’energia e sulla crisi alimentare in Russia, è ancora più importante”.
Mosca è il quarto Paese nel mondo per emissioni di CO2 e, secondo le previsioni, raggiungerà i 2.212 milioni di tonnellate entro il 2030. Gli effetti sul clima e sugli ecosistemi locali sono già visibili: negli ultimi anni le sue temperature sono aumentate più velocemente, quasi il doppio rispetto alla media globale e molti dei suoi territori, come la Siberia, sono stati distrutti dagli incendi. Lo scenario potrebbe nettamente peggiorare nel prossimo futuro. Secondo un rapporto dell’Environmental Law Alliance Worldwide le conseguenze del climate change si avvertiranno su vari piani. Sulla salute, con le morti a causa delle ondate di caldo, sulle epidemie, con l’aumento dell’esposizione a malattie come l’antrace, e su quello delle infrastrutture, con i danni dovuti allo scioglimento del permafrost. Gli obiettivi climatici dello Stato però sono ancora modesti: per rientrare nei limiti fissati a Parigi, perché le temperature globali non superino il limite di 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale. dovrebbe arrivare ad emettere solo 157 milioni di tonnellate di anidride carbonica entro il 2050. Questo significherebbe scendere a 968 milioni di tonnellate già nel 2030 (il 31% in meno rispetto ai livelli degli Anni Novanta). Nei piani del governo la quota di emissioni per la metà del secolo è fissata a 1.830 milioni di tonnellate di CO2. Portando il governo in tribunale, gli attivisti sperano di “salvare la vita a centinaia di migliaia di persone”.
I lavori per la causa sono iniziati più di un anno e mezzo fa, nonostante i timori per la repressione dei movimenti civili da parte delle autorità. Hanno unito una ventina di persone, tra avvocati, manifestanti di Fridays for Future – tra i quali alcuni come Makichyan collaborano dall’Europa, perché non possono ritornare in Russia -, figure di spicco di ONG per il clima come Ecodefense e l’Unione socio-ecologica russa, attivisti contro la guerra in Ucraina e per i diritti umani di varie popolazioni indigene. L’accusa per il governo di Putin è quella di stare “violando la costituzione russa e la Convenzione europea sui diritti umani”, con le proprie politiche insufficienti sul clima. “Oltre a non fare niente, ci stanno mentendo sull’emergenza sulla televisione e sui giornali – spiega Makichyan a ilfattoquotidiano.it dalla Germania – Al posto di approvare piani di adattamento, dicono che non c’è alcun surriscaldamento globale. Le persone quindi non sanno cosa sta avvenendo. Dobbiamo innanzitutto smascherare le bugie del governo qui in Russia”. Gli esiti della causa, davanti alla Corte suprema del Paese sono imprevedibili, ma il gruppo proverà a portarla anche davanti all’Onu e alla Corte europea dei Diritti Umani. “Siamo appena all’inizio, ma l’attenzione sul tema crescerà – secondo il fondatore di Fridays Russia – Speriamo sollevi anche qualche problema rispetto al governo di Putin, che non ci rappresenta ma continua a sedersi ai tavoli sul clima”. A livello internazionale “questa azione legale potrà fornire un nuovo strumento per decidere sulle politiche climatiche – conclude Makichyan, che dall’inizio del conflitto in Ucraina chiede ai leader europei un embargo sul petrolio e sul gas provenienti da Mosca – Abbiamo però bisogno di più supporto dalla politica. Per combattere il cambiamento climatico serve unirsi”.