Ho un babbo che ha la stessa età della Regina Elisabetta II, 96 e oltre. Poco alla volta le forze gli stanno mancando. Mente ancora lucida, stringe il cuore a chi lo ricorda gagliardo, ogni giorno in piedi in sala operatoria, le moltissime vite salvate. Non ho bisogno di pensarci, convivo con il dolore per la sofferenza e per la vita che sta sfuggendo a colui che è stato la tua vita, che ti ha dato la vita. Una ferita incommensurabile, che non si può raccontare, tutti conviviamo con la morte. Anche se non siamo la famiglia reale. Forse per questo, faccio fatica a pensare al tornado mediatico dei funerali della ex regina d’Inghilterra, Galles, Scozia e Nord Irlanda, come a un qualcosa di autentico e serio. In realtà mi pare una solennità che diventa farsa. Come non rendersi conto che il dolore non si può né riprodurre, comunicare o celebrare oltre un certo strettissimo limite?
E questo vale per tutti piccoli e grandi. Se si passa il segno, diventa operetta, comica messa in scena. La morte e la vita perdono senso, scompaiono. Allora ci restano solo le perle di Meghan, la veletta di Kate, il tailleur total black di Camilla, la 14ª fila di Biden, le uniformi e i paramenti che fanno il verso a un film di Luchino Visconti. Ci sorge il dubbio odioso che, alla fine, anche il trapasso della Regina sia stato l’ennesimo sforzo di business per reggere in piedi una monarchia, che ormai non riesce più a rappresentare i veri valori, che pur ancor oggi soli giustificherebbero la presenza di un Re o di una Regina. Non certo “l’Unto del Signore”, il Defensor Fidei, ma solo il saldo delle entrate e delle uscite tra tutto quello che costa al contribuente inglese la monarchia e quello che rientra con la dabbenaggine dei turisti.
Eppure la morte, il ricordo doloroso, accomunano tutti, sicché davanti a una bara siamo tutti veramente uguali. Che senso ha cercare di perpetuare le differenze in maniera così clamorosa, altisonante, formale, vacua? Non omnia vanitas vanitatum. Qualcuno – non dico tra il pubblico che purtroppo è sempre passivo – ma a corte si è reso conto che questi funerali della Sovrana hanno avuto poco a che vedere con la vita, la morte e la Resurrezione (per chi ci crede…e la Regina ci crede senz’altro)? Quattro miliardi di persone, milioni di italiani li hanno visti, ne hanno seguito i dettagli, certo come fosse stato un grande spettacolo. Migliaia di dotti commentatori hanno sparso il proprio talento. Ma erano lucciole per lanterne.
Credevamo di assistere a un funerale, all’estremo saluto, abbiamo invece visto un circo, la puntata di un serial televisivo ad uso degli abbonati che avevano appena smesso di guardare l’ennesima puntata di The Crown. E mentre sulle pagine dei giornali, sui social e nelle televisioni continuano a scorrere le immagini di codesto «funerale» ripenso a mio padre, a tutti gli anziani che soffrono, agli amici e parenti che hanno appena accompagnato e accompagneranno un loro caro verso l’ultima destinazione. E mi vengono in mente letture e pensieri forse antichi (M. Eliade); l’idea che «il grado di civiltà di un popolo si veda principalmente dal culto dei propri defunti…», una verità che tutti – anche chi non studiava – conosceva nel profondo, ma che evidentemente molti hanno dimenticato.