Da gennaio a giugno 2022 le fonti energetiche rinnovabili hanno prodotto il 14% di energia in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, passando da 59,7 a 52,3 terawattora. Nello stesso periodo sono stati installati impianti per una potenza di 1.211 MW: il 168% in più rispetto al 2021, ma si parla comunque di solo 1,2 gigawatt. Troppo poco per i target europei e i bisogni italiani, in questa fase di prezzi del gas alle stelle. Non va meglio se si guarda la copertura del fabbisogno elettrico nazionale ferma al 33%. Era quasi al 39% nello stesso periodo dell’anno scorso e a più del 41% nel 2020. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in un’intervista a Radio 24, ha parlato di “una quantità enorme di potenza energetica di impianti nuovi” ferma perché “ci sono le sovrintendenze che bloccano l’autorizzazione per una questione paesaggistica”. Neppure la nuova procedura con cui il Consiglio dei ministri può dirimere una controversia tra due dicasteri risolve la questione. Si fatica a vedere gli effetti della promessa semplificazione che avrebbe dovuto ridurre i tempi per ottenere un’autorizzazione (6-7 anni, contro la media europea di 6 mesi).
“Portando i progetti a Chigi non si raggiunge il numero necessario” – Tra agosto e settembre, il cdm ha sbloccato 11 progetti di impianti eolici (per una potenza complessiva di circa 452 MW), otto in Puglia e tre in Basilicata e altri due in Toscana, uno geotermico e l’altro eolico, fermo da anni, sul crinale di Mugello. Tutti impianti che hanno iniziato l’iter tempo fa e che ora dovranno proseguirlo, anche per la connessione alla rete nazionale di Terna. “Meglio di niente, ma non può essere Palazzo Chigi a scegliere quali progetti far passare, né così si può raggiungere il numero di impianti di cui abbiamo bisogno” spiega a ilfattoquotidiano.it David Moser, responsabile del gruppo di ricerca dell’Istituto per le energie rinnovabili di Eurac Research. E non è tutto. Perché le norme approvate nell’ultimo anno e mezzo di governo Draghi (e di vita del nuovo ministero della Transizione ecologica) non sempre velocizzano gli iter.
Confusione tra le norme e decreti attuativi mancanti – “Regna la confusione tra le varie norme entrate in vigore – spiega Moser – e i decreti attuativi che mancano, fermi in attesa del nuovo governo”. Compresi quelle della legge sulla Concorrenza, in vigore dal 27 agosto scorso, che contiene una specifica delega al governo per la semplificazione in materia di rinnovabili. Secondo l’esperto “sulla carta ci sono stati dei tentativi di semplificazione, ma si sono ridotti gli oneri amministrativi per chi progetta l’impianto e per i soggetti coinvolti nelle fasi iniziali dell’iter”. Il blocco principale resta quello della Sovrintendenza. Il risultato è nei numeri dell’ultimo anno e mezzo. Secondo il Renewable Energy Report 2022 elaborato dal gruppo Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, la capacità installata nel 2021 è stata di 1,3 gigawatt. Un incremento del 70% di potenza, ma rispetto all’anno nero della pandemia, il 2020, durante il quale la capacità aggiuntiva è stata di 790 MW. Per quanto riguarda, invece, i primi sei mesi del 2022, secondo l’Osservatorio FER realizzato da ANIE Rinnovabili sulla base dei dati Gaudì di Terna, ammonta a 1,2 gigawatt (1.061 megawatt per fotovoltaico, 123 MW per eolico e 27 MW per idroelettrico). L’Italia è lontana dagli almeno 8 GW all’anno necessari per aggiungere, entro il 2030, altri 70 GW di potenza alla capacità installata e destinati a crescere per ogni anno in cui si manca l’obiettivo. Sui dati ha influito lo scarso apporto dell’idroelettrico causa siccità (-39%), compensato solo in parte da produzione eolica (+9%) e fotovoltaica (+10%).
Penalizzati i grandi impianti – L’Osservatorio sottolinea che “in contrapposizione ai dinamici comparti del fotovoltaico a tetto” è statico quello degli “impianti utility scale (di taglia pari o superiore a un megawatt) sia eolici che fotovoltaici”. Nel primo semestre 2022 sono stati installati 35 impianti fotovoltaici di potenza superiore a un megawatt (il 35% del totale) e solo 4 di potenza superiore a 10 MW. Sono appena cinque quelli eolici di potenza superiore a un megawatt realizzati nello stesso periodo. Tutti in Puglia: quattro nel foggiano e uno offshore a Taranto da 30 MW, che ha visto la luce dopo un iter durato 14 anni. “La lista delle aree idonee potrebbe dare una spinta agli impianti più grandi” spiega Moser, secondo cui “una volta individuate, in linea di massima lì si potrà costruire. Si attende, però, che Regioni e Province autonome facciano la loro proposta e i tempi non sono affatto chiari”. Per Anie Rinnovabili è necessario “un maggior grado di concretezza nell’emanare i pareri relativi agli iter autorizzativi di tali impianti”, mentre “la realtà evidenzia che vi è una limitata capacità delle strutture preposte al rilascio dei pareri nel processare le istanze”.
Dai dati relativi alla Commissione tecnica Pnrr/Pniec, attiva da fine 2021, risulta che “delle 421 istanze di Via depositate solo un procedimento risulta concluso, sintomo che l’accelerazione tanto auspicata non è purtroppo ancora avvenuta”. Eppure le istanze riguardano impianti per una potenza complessiva di 19 gigawatt che, si stima, porterebbero a investimenti per circa 20 miliardi di euro e una produzione annua di 30 TWh, il 10% del fabbisogno elettrico nazionale. L’Osservatorio monitora anche l’avanzamento dei lavori per i provvedimenti attuativi previsti dai decreti che recepiscono le direttive Ue. Il risultato? Sono scaduti i termini di attuazione di 30 provvedimenti su 39 monitorati e solo quattro di questi sono stati pubblicati.
Cosa non sta funzionando – Uno dei nodi è quello delle competenze. L’autorizzazione, oltre determinate soglie, viene generalmente rilasciata dalle Regioni e dallo Stato per gli impianti a mare (off shore). Altra storia se occorre anche la Via: per gli impianti in mare la competenza è tutta statale (dell’autorizzazione e della Via), per i progetti fotovoltaici ed eolici su suolo agricolo, rispettivamente sotto i 10 e i 30 megawatt, autorizzazione e Via sono di competenza regionale (si ottiene il Paur), per l’eolico on-shore e l’idroelettrico, entrambi sopra i 30 mw, la Via è di competenza statale (in capo al Mite), ma l’autorizzazione resta competenza delle Regioni. “Prima i progetti devono ottenere la Via statale – spiega l’associazione Gis (Gruppo impianti solari) – e, solo dopo, possono cominciare da zero tutta la trafila a livello regionale o provinciale per avere l’autorizzazione, convocando Conferenze di Servizi per chiamare in causa tutti gli enti locali competenti e ottenere (forse) la loro autorizzazione”.
Da quando è prevista la Via statale, da più di un anno “nessun nuovo impianto è ancora stato approvato, se non quelli che hanno seguito il vecchio iter del Paur regionale” spiega l’associazione. “La Via statale ha ridimensionato il potere ostruttivo di ministero della Cultura e Soprintendenze che hanno diritto di veto su un progetto solo se su un area vincolata – osserva – ma si è allungato il giro di enti coinvolti nella procedura”. Conferma questo racconto Nicola Baggio, co-fondatore della Futura Sun, azienda produttrice di pannelli solari ad alta efficienza: “Negli ultimi due anni c’è stata una bulimia normativa, ma provvedimenti a pezzettini inseriti continuamente in un corpo normativo già vasto e dettagliato non hanno portato a una effettiva semplificazione. Sulla carta i tempi dovrebbero essere ridotti rispetto a prima. Ma da nessuna parte c’è scritto che, decorsi i termini, si applica il silenzio-assenso. Bastava inserirlo nelle norme già esistenti”.
Il pasticcio della relazione paesaggistica – Il Gis segnala anche un altro problema, che riguarda il recepimento delle modifiche introdotte dal decreto Aiuti. Il miTe ha aggiornato la modulistica per presentare l’istanza di Via. Nella richiesta dovranno essere inseriti, oltre alla relazione paesaggistica (o relazione paesaggistica semplificata), anche l’atto di verifica preventiva di interesse archeologico (Viarc), “per produrre il quale – spiega il Gis – occorre eseguire delle ricognizioni sul posto, scavi archeologici preventivi, supervisionati da rappresentanti incaricati dal ministero della Cultura”. Questo significa complicare l’iter autorizzativo: “Fare scavi archeologici richiede l’apertura di un cantiere e un intervento invasivo sul terreno. Il proprietario di un pezzo di terra che vuole valorizzare facendoci costruire un impianto solare spesso non è disposto a farsi sviscerare un terreno nella speranza che tra tre anni possa forse venire approvato l’impianto”. Un rischio anche per le imprese. “Se gli scavi non rivelano nessun interesse archeologico – lamenta l’associazione – l’iter autorizzativo torna nelle mani del miTe, ma a quel punto sarà passato almeno un anno e altri due saranno necessari per completare l’iter secondo i tempi biblici della burocrazia italiana”.