“Abbiamo voluto lasciare con la vernice rossa alcune frasi, che ricordino che cosa è accaduto a Giuliano. ‘Assassini!‘, ‘Basta morti’ e ‘Basta Pcto’ abbiamo scritto sulla strada e sull’ingresso della fabbrica dove a 18 anni è morto un ragazzo come noi”. Nina Mingardi, 18 anni anche lei, fa parte del Coordinamento studenti medi del Nordest, che si sono dati appuntamento a Noventa di Piave di fronte allo stabilimento della Bc Service, dove il ragazzo è stato travolto e ucciso al quarto giorno dello stage che aveva cominciato, in quanto studente dell’Itis di Portogruaro. “Giuliano è stato ucciso da un sistema scolastico che non ci rappresenta, ucciso dalla volontà delle nostre istituzioni di non cambiare, ucciso da chi ogni giorno porta avanti un meccanismo di sfruttamento e di morte che da dentro le fabbriche arriva fino alle nostre aule”. Così hanno scritto su Facebook quelli del Comitato. Circa 150 ragazzi hanno dato vita al presidio per esprimere “una rabbia incontenibile per un sistema scolastico e lavorativo che in meno di 8 mesi ha ucciso tre studenti durante percorsi di sfruttamento, spacciati per formazione”.
Il riferimento è ad altri due decessi avvenuti nella prima metà dell’anno alla periferia di Udine, in Friuli, e a Fermo, nelle Marche. Al di là delle ricostruzioni degli investigatori e delle inchieste aperte, gli studenti hanno voluto prendere una posizione dura. “Nessuna delle istituzioni che ha preso parola su queste morti ha speso una parola sul vero problema che ci troviamo ad affrontare, cioè quello stesso sistema che relega ogni studente per centinaia di ore in luoghi di lavoro insicuri, disincentivando momenti di formazione interni alle scuole. Abolire i Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) è il vero punto di partenza per cambiare radicalmente un mondo dell’istruzione piegato al profitto e ripensarlo sulla base di quello di cui noi studenti abbiamo davvero bisogno”. Hanno poi ricordato come l’anno scorso centinaia di scuole in tutta Italia siano state occupate proprio a partire dalla necessità di abolire l’alternanza scuola lavoro.
“Quando chiediamo più investimenti, una nuova didattica che non sia frontale, stiamo in realtà immaginando e costruendo un mondo diverso, un futuro in cui il modello di vita non si basi sullo sfruttamento di tutti noi dalla culla fino alla vecchiaia”, hanno dichiarato a più voci. “Sappiamo bene che quanto è successo a Lorenzo, Giuseppe e Giuliano, accade ogni giorno a troppe persone, in particolare in Veneto. Non possiamo far finta di non vedere quanto tutti questi episodi siano tutti collegati e tutti frutto dello stesso sistema malato”.
La denuncia si è allargata all’ambiente, al clima, ai disastri naturali: “Questo sistema di sfruttamento non si ferma alle nostre vite, al nostro lavoro, alle nostre aule. È un sistema che ha prodotto un modello di sviluppo ben preciso, basato sullo sfruttamento infinito e devastante della nostra terra e che ci sta conducendo verso un punto di non ritorno in un pianeta devastato dalla crisi climatica che proprio queste politiche estrattiviste, della vita e dei territori, hanno causato”. E hanno urlato: “Il nostro silenzio è assenso. Continuare come se tutto questo fosse normale significherebbe considerare questa realtà normale. Non possiamo permetterlo”. Anna Ghedina, di Padova, ha concluso: “Non possiamo stare al gioco di chi mette prima il profitto della vita. Ciò che è accaduto è assolutamente sbagliato. Pensiamo ai tre morti in pochi mesi e agli altri studenti che hanno subito incidenti gravissimi”. Presenti anche giovani di Friday for Future, pronti a celebrare la giornata mondiale per il clima.