In quest’ultima settimana prima delle elezioni del 25 settembre, il confronto tra Russia e Nato in Ucraina suscita poco interesse, qui in Italia. Ma il fuoco cova sotto la cenere, eventi geopolitici improvvisi sono altamente probabili, e potrebbero stupirci. Per cominciare, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha lasciato intendere al programma tv 60 Minutes della Cbs che potrebbe non ricandidarsi alla Casa Bianca nel 2024 (saggia decisione: il suo declino psicofisico è evidente). Due giorni prima aveva esortato Vladimir Putin a non utilizzare armi nucleari tattiche o chimiche in Ucraina come rappresaglia alle sconfitte sul campo di battaglia, perché la risposta dell’America sarebbe “consequenziale”. Sul fronte russo, in effetti, la non-vittoria su Kiev – anche per l’impatto che stanno avendo decine di miliardi di finanziamenti, armi e munizioni da parte di decine di paesi Nato – provoca nervosismi crescenti e moltiplica rumors carichi di dubbi, incertezze e senso di sconfitta sui canali Telegram, alcuni alimentati da dissidenti russi all’estero, altri da fonti alternative in contatto con la “cupola” del Cremlino.
Atto politico ufficiale clamoroso è una dichiarazione per chiedere le dimissioni di Putin firmata da 60 deputati comunali di 18 distretti di Mosca, San Pietroburgo e Kolpino. Non sappiamo se siano ancora in libertà, ma l’appello è stato reso pubblico da Ksenia Torstrem, deputata del distretto municipale di San Pietroburgo “Semenovsky”. “Noi, deputati comunali della Russia, crediamo che le azioni del presidente Vladimir Putin danneggino il futuro della Russia e dei suoi cittadini. Chiediamo le dimissioni di Vladimir Putin dalla carica di Presidente della Federazione Russa!” recita il testo dell’appello su Twitter.
Sul fronte della cultura popolare, va segnalato un caso eclatante da non sottovalutare, la notissima cantante Alla Pugacheva, 73 anni, ha scioccato milioni di russi della stessa generazione di Putin rivolgendosi al Ministero della Giustizia e chiedendo di essere inserita nell’elenco degli “agenti stranieri” dopo che il marito Maxim Galkin, noto comico, è stato inserito in quella lista (ecco il suo messaggio su Instagram). Politica alta e cultura popolare congiurano contro Putin.
Tornando alla geopolitica ufficiale, al vertice SCO di Samarcanda con i leader del mondo non occidentale, Putin ha potuto fare assai poco per modificare la percezione di debolezza che lo accompagna. In una foto ignorata dai media europei, con il premier dell’India Narendra Modi e il presidente della Cina Xi Jinping, i tre potenti dell’Oriente hanno voluto rimarcare la loro specificità e diversità rispetto alle nazioni “atlantiste” guidate dall’egemonica Washington (in sintesi: oltre 3 miliardi di abitanti orgogliosamente nazionalisti, anti americani, anti Nato, 6487 bombe atomiche e consci della propria missione). Putin però fa fatica a stare alla pari in questo triplice asse, è il pesce piccolo dei tre. Il futuro della Russia insomma non sembra affatto roseo, mentre Cina e India hanno enorme e crescente potenziale, interno e internazionale.
Anti #Occidente, anti americani, anti NATO, 6487 bombe atomiche, oltre 3 miliardi di abitanti. Self fullfilling profhecy?#Samarcanda#India#Cina#Russia pic.twitter.com/ZIqt1fV94F
— Luca Ciarrocca (@lucaciarrocca) September 17, 2022
Ciò detto, se le aspettative di un cambio di regime a Mosca mai sono state così alte dal 24 febbraio a oggi, chi spera che Putin lasci o meglio sia costretto a lasciare il potere, deve fare i conti con due scenari, opposti e antinomici:
scenario a): inasprimento della guerra contro l’Ucraina, cioè una escalation del conflitto tra Russia e Nato perseguito dagli ultranazionalisti russi che giudicano Vladimir Vladimirovic troppo soft e da fazioni dell’esercito disposte, per vincere, a giocare la carta estrema dell’utilizzo di bombe atomiche tattiche sul campo;
scenario b): cessate il fuoco, negoziato con Kiev, pacificazione e conseguente lento rientro della Russia nel consesso internazionale e nei commerci globali. La questione dei territori diventerà quasi marginale (Donbass, Crimea) rispetto ai vantaggi della ripartenza dell’economia europea fiaccata dalle sanzioni e dalle conseguenze sociali del prezzo del gas alle stelle.
Le voci su un “regime change” a Mosca crescono di giorno in giorno. Andrey Piontkovsky è un dissidente russo autorevole, alla luce del fallimento dell’operazione militare speciale contro l’Ucraina sostiene che nelle prossime settimane il leader del Cremlino sarà costretto a lasciare temporaneamente il potere, quasi in stile sovietico. Chi lo obbligherà al passo fatidico? La ristretta cricca “dei cleptocrati” del vecchio KGB, sostiene Piontkovsky. Putin sparirà dalle scene, per motivi di salute, come accadde a molti capi della vecchia Urss. La parola “temporaneamente” ha lo scopo di attenuare l’inevitabile shock per il popolo.
Piontkovsky non è un dissidente qualunque. Si laureò al dipartimento di matematica dell’Università statale di Mosca, è membro dell’American Mathematical Society e ha pubblicato più di cento articoli scientifici nel campo della matematica applicata. Si è da sempre opposto ideologicamente al regime putiniano, descrivendo la Russia contemporanea come un “totalitarismo morbido” o un “fascismo ibrido”, arrivando a paragonare il discorso di Putin sulla situazione in Crimea nel 2014 a quello di Hitler sulla Cecoslovacchia nel 1939. Ha scritto: “È ovvio che Putin non rinuncerà mai volontariamente al potere. La sua ferma determinazione a governare a vita è guidata non tanto dalla sete di potere in sé, quanto dalla paura della responsabilità per ciò che ha fatto”. E ancora: “Ci sono volute una serie di convincenti vittorie dell’esercito ucraino perché l’idea di un pericolo mortale imminente raggiungesse finalmente la coscienza del clan dei falchi”.
Il matematico indica con nome e cognome il regista del prossimo cambio di regime a Mosca: Yuri Valentinovich Kovalchuk, imprenditore di San Pietroburgo, finanziere, miliardario. Si tratta della persona più vicina a Putin, l’unico che gli dà del tu, suo “guru di politica estera” e soprattutto gestore del suo immenso patrimonio (alcune stime parlano di 200 miliardi di dollari, il che porrebbe il leader del Cremlino subito dopo Jeff Bezos e Elon Musk, fondatori di Amazon e Tesla e uomini più ricchi del mondo). Kovalchuk è il Berlusconi russo, presidente e maggiore azionista di Rossiya Bank, ha creato il National Media Group, domina il mondo tv e social in Russia con varie piattaforme votate alla propaganda più massiccia. Alina Kabaeva, considerata la fidanzata dello Zar, è la presidente dell’azienda. Oltre a Channel One, National Media Group controlla i popolari canali televisivi russi 5TV, REN-TV (ex rete di opposizione a Putin) e il canale di intrattenimento CTC, e poi partecipazioni in giornali, media digitali e società produttrici di contenuti.
Piontkovsky dice che Kovalchuk è un convinto “ultrafascista”, che per molti anni ha “nutrito” ideologicamente il leader del Cremlino preparandolo a una missione storica: rigiocare la storia del mondo con l’azzardo dell’invasione in Ucraina, vendicando così la sconfitta dell’URSS alla fine della guerra fredda. E’ Kovalchuk l’ispiratore sia dell’ultimatum alla Nato del 15 dicembre 2021 sia dello scenario da nuovo disordine mondiale avviato il 24 febbraio. A questo punto, alla luce del drammatico stallo ucraino, il più potente oligarca del Cremlino ha una sola missione: preservare il potere e i soldi per sé e per una ristretta cerchia di fidatissimi amici. In che modo? “Putin deve andarsene”, è il mantra.
La defenestrazione consentirà alla cleptocrazia russa ex Kgb, come la chiama Piontkovsky, di ampliare il campo di manovra in politica estera, semplicemente ammorbidendo le condizioni dell’inevitabile capitolazione. Oppure – con grado di probabilità inferiore in uno scenario 50-50 – Mosca potrà alzare il livello dello scontro facendo uso in Ucraina di armi nucleari tattiche (diverse centinaia di missili russi con testate a basso potenziale sono pronti al lancio). Alcuni generali dell’esercito potrebbero a quel punto diventare alleati naturali dei “cospiratori”. Sembra fantapolitica ma non lo è.
Proprio il giorno in cui Putin è partito per il vertice SCO di Samarcanda, Kovalchuk ha informato del suo piano i principali notabili del regime. La frase chiave è: “In considerazione del deterioramento dello stato di salute di Vladimir Vladimirovich, le funzioni del leader del Cremlino saranno temporaneamente svolte da un organo collegiale: il Consiglio di Sicurezza”. Il termine “collegiale” offusca la responsabilità personale sia di Putin sia dei membri del nuovo Areopago al potere, per le future drammatiche decisioni che la Russia dovrà prendere. Certo, l’opzione nucleare non conserva i soldi e il business come la pacificazione, anzi le annienta. Kovalchuk sa cosa scegliere, dopo aver sbagliato con l’invasione dell’Ucraina? E chi dell’organo collegiale alla fine prenderà il ruolo di leader della Federazione Russa dopo la sconfitta?