Dall'assenza del tema in campagna elettorale alle azioni da mettere subito in campo per mitigare gli effetti degli eventi atmosferici estremi: il parere (e le idee) del segretario generale dell'ente per la certificazione e la gestione sostenibile delle foreste
L’estate 2022 ci ha consegnato una fotografia di ondate di calore e di siccità in tutto il pianeta. Secondo il Cnr, dal 1800 – cioè da quando vengono rilevati i dati a livello nazionale – per quanto riguarda le piogge, c’è stata una riduzione rispetto al valore medio di quasi il 50%. Mentre per le temperature a luglio si è registrato un +2,26 gradi sopra la media italiana e nel complesso i primi sette mesi dell’anno hanno fatto registrare un +0,98 gradi. Si tratta dei sintomi, le punte degli iceberg, della crisi climatica che il mondo sta vivendo da decenni e per cui è ancora impreparato. Che cosa si può imparare dall’estate? Antonio Brunori, segretario generale Pefc Italia – ente per la certificazione e la gestione sostenibile delle foreste – appena tornato dall’esperienza del Geckofest di Spina di Marsciano (Pg), ha ragionato sulle azioni prioritarie che l’Italia dovrebbe intraprendere.
Segretario, premesso che la questione cardine resta l’agenda politica globale sulle emissioni di gas serra, tuttavia, per contrastare la siccità estrema che, presumibilmente, si verificheranno sempre più frequentemente, Anbi e Coldiretti hanno proposto la realizzazione di un “piano invasi e laghetti”, sollevando perplessità dalle associazioni ambientaliste. Per lei è una buona idea?
Di sicuro è una proposta che può risolvere il problema della scarsità delle risorse idriche disponibili nell’immediato, anche se ne sento parlare fin da quando mi sono laureato nel 1990. Ma penso anche che bisognerebbe, contemporaneamente, ragionare sugli impatti che queste attività avrebbero sull’ambiente naturale, ad esempio, sul “deflusso minimo vitale” dei corsi d’acqua oppure sul consumo di suolo. Quindi, più che a un piano invasi, occorre intervenire sulla riqualificazione dei corsi d’acqua e sulla ricarica della falda.
Altra soluzione indicata a portata di mano è quella di piantare nuovi alberi. Lei che guida un’associazione che vigila sulla gestione sostenibile delle foreste temperate boreali è d’accordo?
Ecco, questo è un tema delicato. Non c’è dubbio che gli alberi svolgano un ruolo importantissimo per rinfrescare le nostre città, per il sequestro di CO2 e per l’assorbimento del particolato, ma attenzione a non farci ingannare da slogan populisti.
In che senso?
Siamo in piena crisi climatica, gli alberi andavano piantati vent’anni fa per ottenere oggi dei risultati nella riduzione dell’isola di calore. Ricordiamoci che gli amministratori di grandi città – come Bologna, Perugia, Milano – ci dicono che non trovano tutti questi spazi urbani vuoti per mettere alberi, e non vogliono che parchi e giardini si trasformino in boschi.
Possiamo sempre ricorrere al verde verticale?
La dico un po’ fuori dai denti, ma pensare di risolvere col verde verticale è una ‘sparata’ diciamo… radical chic. I costi di manutenzione delle pareti vegetali sono altissimi. È culturalmente che dobbiamo agire, subito.
Quali interventi propone, allora?
Intanto lavoriamo sulla gestione dell’esistente. Un albero non funziona come un condizionatore, non c’è un interruttore on-off. Il verde va gestito perché gli alberi vivano, non basta piantare se poi manca tutto il resto. Operazioni da fare subito sono la deimpermeabilizzazione dei suoli, in modo da conservare l’acqua piovana che dal terreno raggiunga gli alberi ed evitare, così, anche tanti danni idrogeologici. Inoltre, si deve aumentare l’albedo cioè la capacità di una superficie di riflettere la radiazione solare. Per farlo basta, banalmente, dipingere con tonalità del bianco tante strutture delle nostre città. Infine, occorre procedere ad una sostituzione drastica dei materiali impiegati nei nostri centri urbani: dall’asfalto delle strade al cemento delle infrastrutture, esistono tante alternative e di sicuro un posto di primo piano lo deve avere il legno che è un materiale naturale, non energivoro e che a fine vita può diventare carburante. Quello di cui abbiamo bisogno è una visione bioeconomica.
Tra pochi giorni saremo chiamati alle urne, ha intercettato nei programmi politici questa visione bioeconomica?
Francamente no. Sulla politica ambientale c’è immaturità da parte di ogni schieramento. Se mi devo sbilanciare, nel programma dei Verdi-Sinistra Italiana ci sono buone proposte legate alla gestione delle aree interne e quelle forestali e nel programma della Lega ci sono idee concrete per il mondo produttivo della montagna; ma penso che ovunque manchi la professionalità per affrontare certe sfide e una vera visione bioeconomica.
Alla fine l’ambiente è entrato in campagna elettorale solo perché si sta parlando di bollette…
Sì, ma non c’è nessuno che affronti il tema di come ridurre, a monte, la causa delle bollette e cioè diminuire i consumi o affrontare la crisi climatica, la radice di tutti i problemi che stiamo affrontando e purtroppo affronteremo.
A destra c’è chi parla di un ritorno al nucleare, la convince?
Parlare di nucleare oggi significa non voler affrontare subito la crisi climatica. Il nucleare di quarta generazione sarà disponibile nel 2050, direi che adesso dobbiamo puntare ad altro. Puntiamo ad un mix di fonti rinnovabili, in particolare dobbiamo sviluppare impianti di cogenerazione da biomasse legnose di piccola taglia (per elettricità e calore distribuito da teleriscaldamento), l’eolico offshore, il microeolico, il geotermico e il fotovoltaico: quest’ultimo senza andare ad occupare i terreni agricoli ma i tetti. Dalla politica mi aspetto non solo incentivi ma meno tasse – per esempio, la riduzione dell’Iva o delle accise – a chi investe in soluzioni green e l’eliminazione degli incentivi per le fonti fossili. Non è possibile che il metano abbia il 4% di Iva mentre la legna locale lo abbia al 10% e il pellet al 22%: una evidenza di miopia ambientale o peggio di mancanza di visione strategica sul settore energetico. Il più chiaro esempio di saggezza e visione politica degli ultimi anni è venuto da Papa Bergoglio che nella sua Enciclica “Laudato si” offre tanti spunti e indicazioni sulla gestione responsabile ed equa del Capitale naturale e del Capitale umano. Quanti dei nostri politici hanno menzionato la strada indicata dal Papa? Nessuno, sennò perderebbero le elezioni. Infatti, se si parla di crisi climatica bisogna coerentemente prospettare misure “draconiane”, che spaventerebbero il potenziale elettore.
Una delle obiezioni è che in fondo le rinnovabili non bastino a soddisfare il fabbisogno, lei cosa risponde?
E non basteranno finché il nostro sistema si basa su tantissimi sprechi di energia. Noi ragioniamo con il megawattora, il kilowattora ma serve un cambio di paradigma e ragionare con il negawattora: l’unità di misura dell’energia risparmiata. D’altronde, imprese e consumatori hanno tutto da guadagnarci, l’efficienza energetica non è solo ridurre l’inquinamento ma anche minori costi.