Il trionfo, annunciato da tutti i sondaggisti, di Giorgia Meloni può fare da apripista al successo di Vox nelle elezioni spagnole previste per il prossimo anno. È quanto invoca la Giorgia nazionale, rendendo palese, una volta di più, come il suo orizzonte politico è proiettato verso l’area dell’ultradestra, un lido lontano dal conservatorismo moderato o post-democristiano.
Vox ha una identità chiara: zero immigrazione, la famiglia è quella tradizionale e cristiana, la corrida dei tori è un bene culturale da salvaguardare, Gibilterra va sottratta alla sovranità inglese perché torni a Madrid ma su Ceuta e Melilla – enclavi in terra marocchina – deve continuare a sventolare alta la bandiera spagnola. E, ancora, il cambiamento climatico è una fake creata ad arte dallo scientismo dominante.
Infine il mantra sulla visione continentale: l’unica Europa possibile è quella delle patrie, formula non nuova, in Italia sentita tante volte nelle piazze di Giorgio Almirante.
Soluzione in verità difficile da comprendere nella sua pratica articolazione: cosa ne sarà delle decisioni collegiali? Le istituzioni comunitarie sono destinate all’implosione? Tutto sarà quindi deciso dai singoli Stati per poi trovare un’intesa successiva ricorrendo allo strumento delle convenzioni?
Qui non è questione di finanza o di politica monetaria. L’Europa unita riguarda la vita stessa degli europei, le modalità per un semplice bonifico bancario, le transazioni commerciali di ogni giorno, l’applicazione dell’Iva tra le aziende, la mobilità delle persone e delle merci, insomma l’economia reale. Ma anche l’apprendimento di un idioma all’estero, la rapida estradizione di un delinquente, o l’effettività degli obblighi alimentari quando una coppia mista si separa. Ci fermiamo qui nell’elencazione, ma risulta realmente difficile intendere come l’Europa delle patrie, e dei patrioti, potrebbe meglio regolare questi fenomeni.
Santiago Abascal, fondatore e leader di Vox, è un professionista della politica, esibisce nel suo curriculum alcune collaborazioni con testate giornalistiche, proprio come Giorgia Meloni, giornalista professionista della quale si ricordano pochi editoriali.
In linea con la leader di FdI, guarda con interesse a Orbán, ma è alleato nella regione di Castilla y León, e di fatto nella comunidad de Madrid, con i Popolari, da sempre ben radicati nelle fila del Partito Popolare europeo. Tra loro i rapporti di forza sono nei numeri, se è vero che Vox è partito in ascesa – malgrado l’inattesa battuta d’arresto nelle consultazioni andaluse – e, per contro, i populares vivono le difficoltà delle formazioni tradizionali, è anche vero che i più recenti sondaggi danno il PP al 28,5% e Abascal al 10 per cento. Sei punti in meno delle stime di inizio estate, e in flessione netta rispetto al 15,2% raccolto dall’ultradestra nelle elezioni politiche del 2019.
Oggi, secondo le previsioni, i socialisti del premier Pedro Sánchez, in alleanza con Unidas Podemos, vincerebbero le elezioni, privilegiando, come spesso accade nella politica iberica, accordi con i vari movimenti indipendentisti.
Certo, sono solo intenzioni di voto, di per sé fallaci, non a caso qualche anno fa l’Espresso dedicava un editoriale alla “certezza perduta dei sondaggi”, ricordando come già nelle elezioni presidenziali del 1948 la maggior parte degli istituti americani attribuiva una schiacciante vittoria a Thomas Dewey sul presidente Truman, che poi vinse col 50% dei suffragi.
Non diciamolo a Giorgia Meloni, però. Sulla sua vittoria, prefigurata da tutte le indagini demoscopiche, è certa di segnare la strada per i successi di altri patrioti sovranisti.