Basta fare un giro in rete per ricordare quanto Salvini fino a poco tempo fa abbia dichiarato un feeling personale e particolare con la Madonna, che addirittura gli avrebbe suggerito alcune “dritte” da comunicare a noi comuni mortali. Alcune indimenticabili e raccapriccianti performance lo hanno visto sfoderare con disinvoltura il rosario, dando vita a spettacoli tra l’indecente, il macabro, il grottesco. Avendo compreso che il filo diretto con il Paradiso e l’esibizione dei simboli della fede non producevano (più) gli effetti desiderati, Salvini ha cambiato strategia. Il Salvini del 2022 crede.
“Credo” (negli italiani, nella pace fiscale con la flat tax, nell’Italia sicura dall’insidia dei migranti, nel regionalismo differenziato). Questa la parola d’ordine di una campagna elettorale incommentabile, basata sul richiamo piratesco e truffaldino a una delle parole chiave del cattolicesimo. “Credo” giganteggia sui cartelloni lungo le strade italiane con i faccioni sorridenti di sostenitori di principi e concetti che – lo tocchiamo con mano da tempo – sono spesso lontani dallo spirito religioso. Basti pensare ai decreti sicurezza e al blocco navale, quando il segretario della Lega era ministro dell’Interno.
Cosa avrà pensato Matteo Salvini quando – su richiesta di Papa Francesco – i vescovi delle aree interne si sono riuniti un paio di settimane fa a Benevento e hanno pronunciato, nel documento finale che ha chiuso l’incontro, il seguente monito: “L’Autonomia differenziata danneggia il Sud e l’Italia: non farebbe altro che accrescere le diseguaglianze”, per questo “chiediamo alla politica interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati da una progettualità prospettica, non viziata da angusti interessi o tornaconti elettorali”?
Ancora una volta dalla Chiesa di Papa Francesco provengono le parole più nitide e inequivocabili. Questa volta su un tema che solo oggi (grazie alla cura con cui i governi e i media mainstream lo hanno occultato nel corso degli ultimi quattro anni) assurge agli onori delle cronache, essendo elemento cardine del programma elettorale del centrodestra. Ma che, sin dalle origini, ai tempi della riforma del Titolo V della Costituzione ha interessato e coinvolto gli allora Ds, tra gli estensori di quella riforma. Oggi uno degli uomini forti(ssimi) del Pd (Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna) ne è uno dei massimi sostenitori. L’Emilia Romagna si è affiancata a Veneto e Lombardia, a trazione leghista, nel chiedere di accedere alla potestà legislativa su ben 16 materie tra le 23 disponibili.
La sola differenza sta nel fatto che, mentre Salvini gioca la carta dell’autonomia differenziata come merce di scambio per il via libera al presidenzialismo di Fratelli d’Italia e rivendica a gran voce tale sua priorità, il Pd non ha inserito l’autonomia differenziata nel proprio programma (tranne un vago cenno a pagina 29) e gestisce in maniera ondivaga le dichiarazioni in proposito: l’11 settembre Letta dice no, Fassino pochi giorni prima dice sì, mentre il Pd Veneto da tempo ha fatto la propria proposta. Per la cronaca, le uniche formazioni politiche, non in coalizione con il Pd, che esplicitano nel programma in maniera inequivocabile il proprio “no” a qualunque forma di autonomia differenziata sono Unione Popolare, il Pci e il M5S.
Le alchimie linguistiche vanno bandite, occorrono parole chiare: tante o poche che siano le materie cui una singola regione ambisca (tra esse istruzione, sanità, infrastrutture, sicurezza sul lavoro, beni culturali, ambiente, rapporti con l’Ue…) è certo che, se solo una di esse venisse legiferata e gestita in via esclusiva dalla regione, si determinerebbero una rottura dell’unità della Repubblica, un aumento delle già impressionanti diseguaglianze esistenti tra nord e sud, tra regione e regione, tra territorio e territorio; un attacco eversivo ai primi cinque articoli della Costituzione, nonché al contratto collettivo nazionale. Ce ne è abbastanza per rifiutare qualsiasi scelta di compromesso.
La dichiarazione dei vescovi rappresenta un fatto di straordinaria importanza. Da Benevento – attraverso le conclusioni del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e le parole dei vescovi delle aree interne, che rappresentano l’80% del suolo nazionale, contro il 20% delle aree metropolitane, dove si addensa però il 60% della popolazione – giunge il grido di allarme relativo alla ripartizione diseguale di risorse, che allargano un divario civile e di esigibilità di diritti universali: istruzione e salute in primo luogo. L’autonomia differenziata non farebbe che accrescere le diseguaglianze, analizzate nell’intervento di monsignor Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vice-presidente della Cei. Eppure – come ha affermato il papa nel suo saluto al convegno – è proprio grazie a queste zone e al lavoro di cura del capitale naturale che lì viene svolto che le aree metropolitane continuano a vivere.
“La metropolizzazione progressiva della popolazione italiana sta causando la lenta morte d’interi territori, con grave danno per tutto il Paese”, ha affermato Accrocca, arcivescovo metropolita di Benevento. “Quando si registra l’abbandono di una parte del territorio è la nazione intera a subirne detrimento, perché un territorio non presidiato dall’uomo sarà sottoposto a una pressione maggiore delle forze della natura, con il rischio di nuovi e accresciuti disastri ambientali, e non si potrà evitare la perdita di parte di quell’immenso patrimonio artistico-architettonico che fa dell’Italia intera un museo a cielo aperto”.
Quell’ambiente, quel patrimonio artistico-architettonico, quei diritti universali che l’autonomia differenziata vorrebbe segmentare, rendendoli – tra le altre materie disponibili – oggetto di gestione esclusiva di ogni singola regione. L’invito a fare comunità, a rinsaldare i legami, a riappropriarsi di diritti e sociali, che proviene da Benevento, si colloca in direzione opposta alla logica rapace ed egoistica che anima la richiesta di autonomia differenziata non solo di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, ma anche di altri presidenti di regione, che stanno preparando richieste analoghe. “I flussi migratori” – infine – possono “costituire un’opportunità per ravvivare molte realtà soggette a un decremento progressivo della popolazione; ma è necessario affinare sempre più la disponibilità all’ascolto, ad assumere, nel rispetto della legge, logiche inclusive, non di esclusione”. Inviti e moniti troppo alti per i politici nostrani?