I Soldi Spicci, Claudio Casisa e Annandrea Vitrano, in regia di un film con i Soldi Spicci protagonisti. E ti aspetti subito risate, tante risate, satira spiccia su situazioni quotidiane e sketch divertenti e leggeri; e Palermo. Infatti c’è tutto questo, ma si percepisce una profondità nuova, sono cresciuti del resto, ma si avverte anche la presenza di un tocco che sembra averli coltivati artisticamente per portarli a un livello superiore. Si è ampliato lo spettro artistico. Il film è prodotto da Attilio De Razza e Nicola Picone (fratello di Valentino) per TRAMP Limited ed è proprio l’ingresso in questa realtà palermitana che mi dà la sensazione che Claudio e Annandrea siano stati seguiti con particolare attenzione – mantenendo identità e slang della coppia, con più solidità. TRAMP è una produzione, una realtà che sta cambiando le regole di un immobilismo storico della città e si proietta a livello internazionale con produzioni che nei festival fanno la differenza.
Ficarra e Picone seguono tutte le produzioni a loro correlate con grande attenzione e passione, non sono solo due comici, ma sono dei visionari che, con il loro team e la loro famiglia, stanno restituendo l’amore ricevuto dalla vita, regalando a loro volta amore, professionalità e conoscenze alle nuove generazioni che, ritengo, possano ispirarsi senza remore. Nel film dei Soldi Spicci ritroviamo moltissimi volti familiari ma qui voglio soffermarmi sull’aspetto sociale narrato dal film, del resto il titolo è esplicativo “Un mondo sotto social”. Come essere sotto scacco, sotto ricatto, sotto condizionamento; o come “starci sotto”.
Siamo al cinema con il loro secondo film. Ma facciamo un passo indietro, come se zoommassimo fino ad un campo largo per capire dove siamo, il contesto e le ragioni. Claudio e Annandrea vivono un successo derivato dalla sperimentazione teatrale, incontro ed espressione artistica nata nel vissuto quotidiano, poi su palchi cittadini e infine traslata su Facebook e Youtube. In questo caso i social sono stati amplificatori, vetrina e strumenti virtuosi per promuovere la comicità degli artisti. Non tutti però “usano”, troppo spesso si finisce con “l’essere usati”. Siamo immersi in una società che ha regole, regole a cui sembriamo costretti a sottostare. Se non sei sui social, su tutte le piattaforme, con un linguaggio appropriato per ognuna delle declinazioni e, in ognuna, con storie, video, video brevi, post, scritti, caroselli e similari farciti di tag, hashtag, citazioni, musica, montaggio, colori, stili, scritte e adesivi, domande, sondaggi, filtri e deliri (eeeh, prendi fiato e continua)… e con un formato dedicato per ogni singola espressione di contenuti esclusivi, accattivanti e riconoscibili… e, bada bene, negli orari giusti e con costanza, qualità e quantità, quasi ossessivamente, rischi di essere tagliato fuori dalle relazioni umane. Basterebbe rileggere queste ultime righe per entrare in uno stato d’ansia, perché così è, ribadisco, se non ci sei – con tutte le condizioni che gli algoritmi ti impongono – minimo passi per sfigato, vieni bullizzato e, in base alla tua età, rischi di essere tagliato fuori dalle relazioni umane.
Umane? Eppure di umano c’è poco e spesso quel poco è la parte peggiore della nostra razza, la razza umana strafottente, egoreferenziale e ambiziosa. “Black mirror”, serie tv sci-fi che aveva angosciato non poche anime, aveva raccontato un futuro prossimo che sembra sempre più vicino, a cui ci autocondanniamo. Un pianeta che soffre e noi che siamo ridotti a filtrare ogni osservazione attraverso un dispositivo con il suo medium – ed ogni applicazione ne è uno – che condiziona la nostra percezione.
“Un mondo sotto social” ce lo racconta con semplicità, ci trascina dentro in un turbinio di battute e surrealismi paradossali fino a coinvolgerci emozionalmente, perché sì, siamo tutti convinti di essere smart, di essere più svegli di Claudio e Anna, i protagonisti, ma dopo poco prendiamo atto di quanto siamo drammaticamente immersi in una società pervasiva che non gestiamo, nemmeno nel privato. Quanto contano i numeri e i fenomeni, il circo delle notizie e dei personaggi, maschere e filtri, contano i racconti non le storie reali, ci accorgiamo di quanto tutto valga poco e si bruci in superficie. Veniamo sbattuti nell’amara verità di quanto raramente scendiamo nelle profondità del senso e della comprensione con reale empatia, risucchiati dalle spire della fascinazione e della droga della curiosità maniacale. Così, perché dobbiamo correre da una sciocca novità all’altra senza il tempo di viverne davvero nessuna.
Noi che ci dimentichiamo perché abbiamo aperto un’app e subito sprofondiamo nel feed dove dispensiamo i like, i cuoricini, i condividi per frasi fatte, salviamo post e commentiamo con bombette, stelline e fiammelle, scrollando con il pollice isterico, ridendo e bruciando il tempo, unica risorsa con cui paghiamo la nostra vita che perdiamo… fin quando ci destiamo e ci chiediamo perché avessimo aperto quell’app. E ridendo, ridendo ci troviamo nel fondo buio in cui avvertiamo la presenza di qualcuno che si sta approfittando di noi, che sia Meta, Google, TikTok, l’agenzia del Gatto e La Volpe o il prossimo social che ci rapirà. Ma tanto è gratis… a parte il tempo che non ritorna.
Nel film, a un certo punto, cadiamo in un messaggio forse ridondante, ma prendetelo per la genuinità del contenuto, che sembra ovvio ma evidentemente è necessario; tutto il mondo è schiavo di dinamiche che uccidono le relazioni. L’amore fa da contorno, addolcisce lo sciroppone amaro insieme al sarcasmo e l’ilarità, poi riesce anche a commuovere gli animi più sensibili e feriti. Sebbene sono certo che la coppia abbia grandi margini di crescita artistica e professionale, se avrete la possibilità andate a vedere “Un mondo sotto social”, perché, nell’Idiocracy verso cui tendiamo, magari qualcuno si sveglia e trova una chiave per invertire la rotta. Bravi “Soldi Spicci”!