Decreto Aiuti-bis: con il payback una tassa da 2 miliardi alle imprese delle tecnologie per la salute”. Sui giornali è apparsa una comunicazione a pagamento di Confindustria che vuole attirare l’attenzione sul rischio che corrono le imprese medicali a causa di ingiuste pretese del governo, per altro non proprio inviso agli industriali. A leggerla sembra che a Roma, di punto in bianco, abbiano deciso di mandare gambe all’aria il settore, ipotecando posti di lavoro e addirittura la “continuità delle forniture al sistema sanitario nazionale”. L’allarme prosegue così: “Il decreto introduce un sistema di tassazione pensato otto anni fa e mai applicato perché ritenuto iniquo, che obbliga le imprese a un esborso superiore a due miliardi”. E perché mai? “Davanti alla necessità delle regioni di ripianare le spese dovute al Covid, si decide, attraverso questa tassa di prelevare risorse dalle imprese che producono tecnologie per la salute”.

Confindustria ce l’ha con l’articolo 18 del decreto n.115 che – contrariamente al titolo della legge – non aiuterebbe affatto le imprese medicali ma anzi le penalizzerebbe con questa “tassa”. Possibile? Le cose non stanno proprio così. Che cosa dice quel decreto? Fa riferimento a una legge dell’epoca Renzi, la n.125/2015, volta a tenere sotto controllo e omologare la spesa sanitaria nazionale per gli anni 2015-2018. Dunque nulla c’entra col Covid che è successivo. La legge in questione intimava alle regioni di mantenere la spesa sotto il tetto del 4,4% e lo faceva obbligandole a rinegoziare i prezzi delle forniture in essere secondo i parametri di costo indicati dal sistema informativo sanitario: se il fornitore non accettava, la regione poteva recedere dal contratto, senza penali; in caso di recesso, per non interrompere i servizi, poteva stipularne di nuovi accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti.

E come è andata a finire? Le aziende hanno continuato a vendere e le regioni a comprare, in barba ai tetti di spesa, che poi tutto s’aggiusta. Sette anni dopo, il governo attua quel che il legislatore ha previsto, e le aziende del settore insorgono, le stesse che per quei quattro anni e anche dopo hanno incassato lauti profitti dalle forniture pubbliche che eccedevano sistematicamente i limiti imposti dalla legge 115. Confindustria lamenta però si tratti di una “tassa”, un ingiusto “prelievo di risorse dalle imprese”. E di doverlo fare proprio oggi, con la pandemia e la crisi energetica che ha gravato su tutte le imprese. Nulla dice del fatto che, come riporta un report di settore pubblicato a gennaio, nel 2020 le imprese del settore han fatto affari d’oro: la spesa sanitaria per dispositivi medici a carico del SSN è stata pari a 8,4 miliardi, registrando +7,7% rispetto all’anno prima. E di chi è quel report? Del Centro Studi di Confindustria, naturalmente, nella sua ultima rilevazione. Gli aumenti sono certificati anche da Istat nell’ultimo “Rapporto Istat sulla spesa rilevata dalle strutture sanitarie pubbliche del SSN per l’acquisto di dispositivi medici“: tra il 2018 e 2019 registra aumenti poderosi in Sardegna (+15%), in Lazio (+14%), Puglia e Liguria (+11%), Emilia-Romagna (+10%), Lombardia (+5,8%). Dunque in epoca pre-covid.

E’ un barbaro prelievo? La cifra è eccessiva? In attuazione della legge citata del 2015, il ministero della Salute e il Mef il 6 luglio scorso hanno certificato gli sforamenti tra il 2015 e il 2018. Il recupero dell’eccesso di spesa viene suddiviso tra regioni e imprese in parti quasi uguali: a carico delle aziende per quote pari al 40% nell’anno 2015, al 45 per cento nell’anno 2016, al 50% per il 2017 e al 50% per il 2018. Non sono cifre messe a casaccio: ciascuna azienda fornitrice concorre infatti alle “quote di ripiano” in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale. Dunque non di una “tassa” si tratta, ma del recupero degli extra profitti conseguiti concorrendo allo sforamento dei tetti regionali di spesa previsti dalla legge ma “mai applicati prima”, dice l’associazione degli industriali. E infatti la spesa sanitaria pubblica, in barba a tetti e propositi di riduzione, non è mai scesa: nel 2017 ammontava a 112 miliardi, nel 2019 sale a 116,8, nel 2020 arriva a quota 123,4 (+5,6%), 127 nel 2021. E chi lo dice questo? Il Centro Studi di Confindustria.

Riceviamo la seguente lettera dal Presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimo Boggetti, e volentieri pubblichiamo.

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