Le Comunità energetiche rinnovabili introdotte giuridicamente in Italia con il Decreto Milleproroghe 2020 continuano a incontrare ostacoli e, questa volta, il prezzo dei ritardi rischia di essere davvero troppo alto. Perché si impedisce a un numero crescente di cittadini di organizzarsi in comunità e affrontare così l’inevitabile caro bollette del 2023 e perché ci sono sul tavolo 2,2 miliardi di fondi previsti dal Pnrr per le comunità energetiche nei comuni con meno di 5mila abitanti, quelli più a rischio di spopolamento. Ma dai piccoli borghi ai comuni più grandi, in molti attendono ancora i decreti attuativi delle nuove regole, che dovrebbero cambiare una normativa tuttora incerta e restrittiva. Forse arriveranno a fine anno, ma non è detto siano risolutivi. Nel frattempo, sebbene siano cento le comunità energetiche mappate negli ultimi tre anni da Legambiente, secondo i dati forniti dall’associazione, fino a maggio 2022 si contano appena 35 realtà effettivamente operative, 41 in progetto e 24 ancora ai primi passi verso la costituzione.

Tra queste 59 quelle censite tra giugno 2021 e maggio 2022: 20 sono ‘Configurazioni di autoconsumo collettivo’, gruppo di utenti che agiscono in modo collettivo, ritrovandosi nel medesimo edificio, come in un condominio o in un centro commerciale, 39 sono le ‘Comunità energetiche rinnovabili’, ossia gruppi di privati, enti territoriali, autorità locali e piccole e medie imprese che si costituiscono in forma giuridica per produrre e condividere energia. Con vantaggi significativi, in quanto chi ne fa parte non solo non paga l’energia prodotta dai propri impianti, ma riceve anche un incentivo dallo Stato per ogni kilowattora prodotto e condiviso tra i membri della comunità e viene ripagato a prezzi correnti (quelli che ora sono alle stelle, circa 500 euro a megawattora) per l’eventuale energia che non utilizza e che immette nella rete nazionale.

Cosa ha frenato finora la diffusione delle Cer – Insomma, proprio ciò che servirebbe in questo momento. E, di fatto, a questo punto le comunità energetiche sarebbero già dovute essere una realtà ben più diffusa in Italia. Risale al 2019, infatti, la direttiva Red II, secondo cui entro il 2030 l’Unione europea avrebbe dovuto produrre il 32% della sua energia da fonti rinnovabili anche attraverso la diffusione su larga scala delle Cer. Quello stesso anno l’Italia ha recepito solo parte della Red II, ponendo limiti importanti, sia per quanto riguarda la potenza degli impianti, sia rispetto alla distanza tra i membri della comunità (il perimetro) e, dunque, limitandone la diffusione. Solo a dicembre 2021, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 199 che recepisce in modo definitivo le direttive RED II (2018/2001) e IEM (2019/944), la possibilità di allaccio è passata dalla cabina secondaria di trasformazione a quella primaria, ossia l’impianto principale.

Cosa significa? Chi fa parte di una comunità finora doveva essere collegato alla stessa cabina secondaria della rete elettrica (i classici manufatti di calcestruzzo, ndr) e, di fatto, trovarsi al massimo a qualche centinaia di metri di distanza, mentre con le nuove regole bisognerà essere collegati alla stessa cabina primaria che consente di includere più soggetti coprendo anche diversi Comuni. Non solo. Cambia anche la potenza massima dei singoli impianti rinnovabili, che viene quintuplicata dagli attuali 200 kilowatt a un megawatt, un tetto che resta comunque facilmente raggiungibile, per esempio se nella comunità ci sono aziende o realtà che consumano più energia. Ed è questo il motivo per cui in altri Paesi, come la Germania, non ci sono tetti. I limiti hanno finora frenato molte realtà, ma ci sono anche gli esempi di chi è riuscito a realizzare una comunità energetica rinnovabile, come ha fatto il comune di Ferla, in provincia di Siracusa, il primo in Sicilia, quello di Biccari, in Puglia nell’entroterra nel cuore dei Monti Dauni e il comune sardo di Serrenti.

Cosa manca – Ad aprile 2022, il Gestore dei servizi energetici (Gse) ha anche aggiornato le regole per costituirsi in Comunità energetiche rinnovabili (CER), specificando requisiti, modalità di accesso agli incentivi e tempistiche di erogazione, ma fino alla pubblicazione dei decreti attuativi del decreto legislativo 199, continua ad essere applicata la disciplina del decreto Milleproroghe 2020. Il rischio è che continuino a svilupparsi comunità energetiche con potenziale più basso rispetto a quanto sarebbe effettivamente possibile. A luglio, mentre in Parlamento si consumava la crisi di governo, 77 realtà attive nel settore delle rinnovabili e ambientale, tra cui associazioni, movimenti, fondazioni e anche diocesi hanno lanciato un appello affinché, a distanza di 7 mesi dal decreto legislativo, fossero pubblicati i decreti attuativi e i bandi del Pnrr riservati ai piccoli comuni, ricordando gli oltre 2 miliardi del piano fermi proprio in mancanza dei provvedimenti. Un’iniziativa promossa da Leonardo Becchetti, co-fondatore di NeXt Nuova economia per tutti e professore di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata e a cui hanno aderito, tra gli altri, Legambiente, Kyoto Club, Italia Solare, Anteas e Adiconsum.

I ritardi e le questioni in sospeso – Entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo, spettava al ministero della Transizione ecologica emanare il decreto attuativo con le tabelle sugli incentivi. Tra i firmatari dell’appello anche Livio de Santoli, presidente del Coordinamento Free che a ilfattoquotidiano.it ricorda come i decreti attuativi per le Cer “erano prima attesi per il mese di marzo, poi si è parlato di settembre e ora tutto sembra slittare alla fine dell’anno”. Arera, invece, avrebbe dovuto emanare entro marzo una delibera per adeguare la disciplina delle Cer alla gestione delle reti elettriche e stabilire “la tipologia di configurazione che serve per poter costituire una comunità”. La delibera è arrivata e il 2 agosto scorso Arera ha pubblicato il documento ‘Orientamenti in materia di configurazioni per l’autoconsumo’, avviando così una consultazione pubblica (aperta alla partecipazione dei soggetti interessati fino al 9 settembre) sulla delibera per definire il nuovo quadro regolatorio. Nel documento si specificano le tariffe agevolate, soprattutto per i condomini, con la restituzione della componente relativa al trasporto dell’energia sulla rete (circa 8 euro a megawattora) e quella per la distribuzione e le dispersioni di energia (circa 1 euro a megawattora). “Nel documento molte questioni importanti vengono rinviate e credo che vada modificato, soprattutto per per quanto riguarda la definizione delle cabine primarie, che sono poche e sono quelle di grande potenza” sostiene de Santoli, che ha scritto anche al Mite “per capire a che punto siamo sugli incentivi”.

Gli incentivi e i decreti attesi per fine anno – Nei giorni scorsi, Valeria Amendola, direttrice generale della sezione approvvigionamento, efficienza e competitività energetica del Mite ha confermato a Repubblica che il Mite sta lavorando insieme ad Arera, che deve stabilire le condizioni di interconnessione nella rete, dicendosi “fiduciosa”. “Entro la fine dell’anno le norme saranno complete, anche con l’ammontare degli incentivi” ha dichiarato. Incentivi nazionali a parte, anche le Regioni stanno prevedendo investimenti e pubblicando bandi per sostenere economicamente chi intende costituire Cer. Ne sono esempi, il bando di Fondazione con il Sud, che scade il 21 settembre 2022 (un milione e mezzo per favorire la nascita di comunità energetiche nelle Regioni), un programma ad hoc della Sicilia, che ha stanziato 5 milioni di euro per i Comuni che si fanno promotori di Comunità energetiche e l’invito lanciato agli enti locali dalla Regione Lombardia, che prevede di investire 22 milioni per realizzare una rete diffusa di Comunità energetiche rinnovabili.

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