Siamo oramai a pochi giorni dalle elezioni ed è sconsolante registrare due dati: il Pd e FdI si scontrano – dire si confrontano sarebbe esagerato – a ogni piè sospinto e la sensazione che se ne ricava è che il Pd, nonostante Letta, che non è riuscito a fare del suo partito una forza coalizionale, dimostra di non avere né un fronte per lo scontro con la destra né una proposta programmatica organica, limitandosi a evocare un simil-Ulivo e a innalzare il richiamo a Mario Draghi; il secondo è che vi è una competizione all’interno dei due campi. Quello tra Salvini e Meloni è quotidiano, come pure la polemica tra il Pd e il duo Renzi-Calenda. La Bonino, Fratoianni, Bonelli, Lupi, Toti appaiono come appendici abbastanza sfigurate. Forza Italia, poi, ha una postura vintage e nonostante che Berlusconi vanti grandi successi e un seguito vastissimo su TikTok assomiglia a una patetica fotografia del bel tempo andato.
Come il signor Bonaventura dei fumetti di un tempo anche per Berlusconi il brand è un milione: tanti sono i seguaci youtube, tanti gli alberi da piantare e chi non ricorda il milione di posti di lavoro dei tempi lontani? Lasciamo perdere che il tutto si commenta da sé. Una cosa però non può essere trascurata: sia Berlusconi che Tajani non si stancano di ripetere che la loro presenza in un futuro governo sarà garanzia di liberalismo, europeismo, atlantismo e di cristianesimo. Sì, avete capito bene: con Forza Italia il governo non può che essere cristiano! La dichiarazione è grave e inquietante per quello che lascia intendere e anche per la novità, visto che una cosa del genere non era mai uscita nemmeno dalla bocca di De Gasperi. Non sarà forse che dopo non essere più “cavaliere”, Berlusconi non pensi di diventarlo dell’Ordine di Malta e con questo farsi paladino di una salda cattolicità? È probabile che ci abbia pensato visto che l’Ordine è pieno di problemi, ma certo, tra una marionetta e un’altra, bisognerebbe che qualcuno gli dicesse che, a differenza del Monza, l’Ordine di Malta non è sul mercato!
Il Movimento 5Stelle insegue la propria sopravvivenza nella speranza di avere, soprattutto dai voti del Sud, una specie di bonus vitae; i bonus sono, forse, l’unica coerenza che possono vantare. Ma per restare nel gioco devono rompere l’isolamento nel quale si trovano per la cui uscita l’unico interlocutore sembra essere la sinistra del Pd, ma tutto va preso con il beneficio dell’inventario. I 5 Stelle – apritori delle scatolette di tonno nonché capaci di sconfiggere la povertà – di bonus potrebbero aprire un supermercato. Nel loro programma la parola ricorre ben 25 volte; il campionario è vasto. È impossibile elencarli tutti; ci limitiamo a segnalare un “bonus aiuto per chi cambia casa a seguito del terzo figlio”, uno “per la ristrutturazione abitativa condivisa al fine di favorire i progetti di silver cohousing” nonché “per sostenere il trasporto marittimo a corto raggio”, un “bonus sisma” e pure un “bonus aggregazioni” per favorire l’integrazione di aziende. Al di là della tragicità delle proposte non si capisce se l’erogazione dovrebbe andare a chi, eventualmente, necessita oppure no.
Si parla tanto di Meloni la quale sfrutta al meglio il vento in poppa che l’attribuisce vincente e lo fa con furbizia casalinga, tatticismi e attenzione a non rivelarsi troppo, ma non sembra proprio avere quel livello di cultura minimo per poter essere definita come un vero leader emergente. La stessa proposta, che dovrebbe essere il pezzo forte della coalizione ossia il presidenzialismo – un tema che Almirante tirava fuori a ogni campagna elettorale – è solo la foglia di fico dell’intenzione politica vera; vale a dire, quella delle radici della storia da cui proviene, il nazionalismo autoritativo, cioè, come si può ben cogliere da ripetuti sprazzi di tanti suoi interventi. E poi ci sono i fatti e il posizionarsi sempre a fianco di Orbàn dice tutto.
Nulla, tuttavia, appare scontato per nessuno, ma tutto quest’agitarsi intestino nei due campi una cosa sembra dirla fin da ora: che chiunque conquisti il governo avrà serie difficoltà poi a governare. E se la destra, come al momento sembrerebbe, dovesse vincere, crediamo che le difficoltà maggiori, paradossalmente, le avrebbe il Pd che sconta una carenza di ruolo nonché un’inadeguatezza di classe dirigente. Impastare Draghi e Europa non costituisce un dato di saldezza rispetto alle tante preoccupanti incognite collegate a una Destra la cui componente maggioritaria è pronipote del neofascismo con una Lega salviniana aperta a Putin; insomma il buio è ben spesso. L’unica amara e sarcastica certezza è che se il Pd perde non è che a perdere sia la Sinistra perché questa non c’è, non c’è più da tanto tempo; vale, tuttavia, pure il ragionamento opposto; ossia, che la sconfitta della Destra – cosa che noi vorremmo – non significherebbe la prevalenza della Sinistra per le ragioni sopra dette.
A tale quadro si aggiunge la questione dell’assenteismo che oramai ha superato i limiti fisiologici del fenomeno e, avendo raggiunto livelli patologici, se questi verranno confermati, la crisi della nostra democrazia di cui tante volte abbiamo detto su queste pagine, significherebbe, in un contesto istituzionale fortemente lacerato – si rileggano le parole di Giuliano Amato nel lasciare la Corte – prefigurerebbe il passaggio ad un qualcosa di molto vicino all’emergenza democratica. Siamo certi che l’Italia, visti anche i suoi passati, riuscirebbe ad uscirne, ma a quali prezzi? con quanti e di che portata i sacrifici? con quale cultura repubblicana che è un fattore essenziale per rimettere la Repubblica nei valori costituzionali che, nelle parole della Carta e nello spirito che da essa emana, rappresenta l’ancora di riferimento del nostro sistema democratico e della storia da cui è nato. Tutto è al condizionale.
Ora la parola è alle urne, il pessimismo è quasi d’obbligo, ma in politica esso non può essere disgiunto dalla speranza. La parola d’ordine “Non Mollare” che questo Critica Liberale ora appunto Non Mollare ha messo a sua testata suona come l’unica certezza cui fare riferimento.