Dall’inizio della guerra, le autorità russe hanno ripetutamente negato la necessità di una mobilitazione generale. Questo non ha impedito al presidente Vladimir Putin di dichiarare la mobilitazione parziale scatenando confusione nel Paese e alimentando il panico tra coloro che temono di essere presto coinvolti direttamente nel conflitto in corso. Non è ancora chiaro chi riceverà la proroga della mobilitazione e se ai riservisti sarà impedito di lasciare la Russia. Ma già alla vigilia delle previste dichiarazioni di Putin e Shoigu, i russi hanno iniziato a interessarsi attivamente ai modi per fuggire all’estero. Dopo le prime notizie di mobilitazione, il numero di domande “come scappare dalla Russia” su Google è aumentato vertiginosamente. Сentinaia di militari di riserva si sono subito rivolti all’organizzazione per i diritti umani Agora, chiedendo se sarebbero stati chiamati alla mobilitazione. Il fatto è che alcuni esperti ritengono che il decreto presidenziale sia così vago da consentire di reclutare chiunque.
Dopo il discorso del presidente, richieste come “renitenza alla leva“, “emigrazione” e, ad esempio, “come rompersi un braccio” sono schizzate in poche ore. I media dell’opposizione si consultano con avvocati militari e pubblicano istruzioni su cosa fare per coloro che non vogliono combattere. La petizione contro la mobilitazione, lanciata questa primavera dal movimento Myagkaya sila (Soft Power), sta guadagnando popolarità e ha già raccolto più di 250.000 firme. “Non siamo pronti a esporre gli uomini del nostro Paese — fratelli, figli, mariti, padri e nonni — a pericoli morali, etici o fisici”, si legge nella petizione.
Il movimento democratico giovanile Vesna (Primavera) ha annunciato in tutto il Paese le proteste contro la mobilitazione chiamate “No alla moghilitazione” (dalla parola russa moghila, tomba). “Migliaia di uomini russi – i nostri padri, fratelli e mariti – saranno gettati nel tritacarne della guerra. Per cosa moriranno?”, si legge nell’appello del movimento. Gli attivisti invitano i cittadini russi a riunirsi nel centro delle loro città. “Ora la guerra arriverà davvero in ogni casa e in ogni famiglia – scrive Vesna – La guerra non è più là fuori, è arrivata nel nostro Paese, nelle nostre case, a prendere i nostri parenti. E devono morire per correggere gli errori del regime di Putin che ha fatto precipitare la Russia in una mostruosa carneficina, isolamento e povertà”.
Anche i sostenitori di Navalny hanno chiamato alle proteste, promettendo aiuto e sostegno per qualsiasi azione, compreso l’incendio degli uffici di arruolamento militare. I manifestanti sono già scesi in piazza in tutta la Russia e oltre 1.300 sono già stati arrestati. Intanto fonti vicine al Cremlino sentite dal media d’opposizione Meduza affermano che il malcontento dei cittadini è “previsto, ma non critico” e che “le persone troppo insoddisfatte possono ancora andarsene, nessuno li trattiene. Tutto sarà fatto gradualmente”.
Diversi media russi indipendenti hanno diffuso volantini su dove fuggire dalla Russia in questo momento, con consigli, ad esempio, per coloro che non hanno i passaporti per viaggiare. Il problema è che, a causa dell’annuncio della mobilitazione, i prezzi dei biglietti aerei da Mosca e San Pietroburgo sono aumentati notevolmente. Pochi minuti dopo il discorso di Putin, tutti i ticket per voli diretti per Istanbul e Yerevan erano già esauriti. I voli diretti verso Paesi che non necessitano di visto sono pieni sia da Mosca che da San Pietroburgo. La Finlandia rimane l’unica via di terra percorribile dalla Russia all’Europa e ci sono già notizie, al momento non verificabili, di file lunghe chilometri che si formano all’ingresso del Paese europeo e di uomini fermati ai confini terrestri anche con la Georgia. Allo stesso tempo, la Duma di Stato ha raccomandato ai cittadini soggetti a mobilitazione di non andare all’estero e di non spostarsi neanche all’interno del Paese. Gli uomini di riserva e, ad esempio, i medici a Mosca, hanno già iniziato a ricevere le convocazioni.
Alcuni governatori delle regioni russe hanno sostenuto attivamente la decisione del presidente già entro un’ora dalla pubblicazione del decreto sulla mobilitazione. Alcuni di loro hanno addirittura già organizzato delle commissioni per la mobilitazione della popolazione. Il Roskomnadzor (Servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell’informazione e dei mass media), a sua volta, ha avvertito i media che nella preparazione dei servizi sulla mobilitazione è necessario utilizzare informazioni diffuse esclusivamente dalle autorità, altrimenti seguirà un blocco immediato per “false informazioni”. Nel frattempo, Igor Strelkov (Girkin), che dall’inizio della guerra criticava il ministero della Difesa e chiedeva appunto la mobilitazione, è diventato di nuovo richiesto dai canali televisivi russi.
MISURE PARZIALI – È vero, alcuni nazionalisti russi (come il partito nazionale bolscevico Altra Russia) hanno accolto la decisione del presidente con entusiasmo: “Compagni, congratulazioni per l’inizio di una nuova guerra mondiale! La guerra totale contro lo Stato ucraino, che abbiamo più volte invocato, provocherà inevitabilmente una reazione di Paesi a noi ostili. Nel conflitto saranno coinvolte nuove parti, comincerà la ripartizione del mondo“. Ma allo stesso tempo, a Girkin e alla maggior parte dei “patrioti” russi la mossa vaga di Putin sulla mobilitazione parziale ancora una volta non è sembrata abbastanza radicale. Questa sua decisione si inserisce infatti nella strategia complessiva della “politica degli struzzi” che, secondo il politologo Abbas Gallyamov, è perseguita da Putin: non ha un piano su come contrastare la controffensiva ucraina, quindi per ora fa finta che non stia succedendo nulla.
Anche il politologo Mikhail Komin crede che Putin stia cercando di guadagnare tempo: è stato messo all’angolo perché non può né mostrare successo al fronte né “vendere” alla sua popolazione una guerra vera. Anche i politici occidentali sostengono all’unanimità che la decisione di Putin è un segno di debolezza e del fallimento militare. In effetti, la piena mobilitazione è impossibile perché, nelle parole del giornalista Mikhail Fridman, è “proprio perpendicolare alle relazioni di Putin con il popolo” perché “da anni ha abituato il Paese alla mancanza di volontà e all’apatia”.
Probabilmente per lo stesso motivo, dalla primavera, nel Paese si svolge una mobilitazione nascosta, già definita “ibrida” e “strisciante”. Sui cartelloni pubblicitari lungo le strade, alle fermate degli autobus e sulle ricevute di pagamento dei servizi comunali si incontrano gli inviti ad arruolarsi nell’esercito. Anche nella metropolitana di San Pietroburgo è stato pubblicizzato il servizio militare a contratto. Entro l’autunno, i volontari per partire al fronte erano già ricercati nelle imprese statali, nelle carceri e persino negli ospedali neuropsichiatrici.
Così, a settembre il capo dell’organizzazione per i diritti umani “Scuola di recluta” ha rivelato che il governo aveva chiesto alle ferrovie russe di reclutare 10.000 dipendenti per la guerra in Ucraina. Per la partecipazione offrono dei “bonus“. Ad esempio, da quest’anno i figli di coloro che stanno combattendo in Ucraina sono ammessi nelle università a condizioni speciali: se un genitore viene ferito o ucciso in guerra, suo figlio può essere iscritto senza esami. I medici e i membri dell’equipaggio di manutenzione che partecipano alla guerra possono contare su benefici (ad esempio pagare la metà delle spese condominiali) alla pari dei militari.
Inoltre, all’inizio di luglio il progetto per i diritti umani Gulagu.net ha fatto notare che la società militare privata Wagner stava reclutando i carcerati per partecipare alla guerra. Viene loro offerta una riduzione di pena fino alla scarcerazione e una ricompensa in denaro, oltre a fino a cinque milioni di rubli (circa 82mila euro) ai parenti in caso di morte del prigioniero. “A chi non piace, mandi i suoi figli al fronte“, ha risposto a tutte le lamentele il capo della società Yevgeny Prigozhin. Secondo la fondazione di beneficenza per aiutare i detenuti Rus’ sidyashchaya (Russia in galera), a settembre erano già stati reclutati 10mila prigionieri.
L’intelligence britannica ha riferito che questi e altri segnali mostrano che l’esercito russo sta vivendo un problema di personale sempre più acuto. Ma l’amministrazione presidenziale ha continuato a negare la necessità di una mobilitazione generale. Dopo la controffensiva delle truppe ucraine nella regione di Kharkiv, gli appelli alla mobilitazione hanno risuonato non solo tra i “patrioti” e i nazionalisti radicali, ma anche tra i deputati della Duma di Stato, mentre il capo della Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha invocato “l’automobilitazione” in ogni singola regione ed è stato pubblicamente sostenuto da diversi governatori regionali russi.
Ora i “patrioti” e i “falchi” hanno raggiunto il loro obiettivo: almeno una sorta di mobilitazione è stata annunciata. Ma siccome il pilastro principale del regime di Putin non era l’entusiasmo militare dei cittadini, ma la loro passività, l’analista Yulia Latynina suggerisce che l’Ucraina potrebbe eventualmente creare le condizioni per la resa di massa di soldati che non erano pronti a morire per Putin. A proposito, questa mattina, parlando dopo Putin, il ministro della Difesa Sergei Shoigu per la prima volta da marzo ha annunciato il numero di quelli già morti durante l’operazione speciale: 5.937 persone. In realtà, anche a giudicare da fonti aperte, ce ne sono molti di più, e l’ex direttore della radio Ekho Moskvy (L’eco di Mosca) Alexei Venediktov giustamente pone la domanda: “Allora perché mobilitare?“