La morte di Amini ha suscitato grande indignazione in tutto il mondo. Secondo gli attivisti, la donna originaria del Kurdistan, regione nel nord-ovest del Paese, è stata colpita a morte alla testa, ma i funzionari iraniani hanno negato questa ipotesi e hanno annunciato un’indagine
La tv di Stato parla di 17 vittime, per le ong sono addirittura 31. Non si ferma la dura repressione del regime degli ayatollah, in Iran, dove in diverse città le persone sono scese in piazza per protestare contro le autorità dopo l’uccisione di Mahsa Amini, la 22enne deceduta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale a Teheran perché non indossava correttamente il velo. Proprio per frenare l’ondata di manifestazioni, come annunciato nei giorni scorsi, è stato deciso il blocco dell’accesso a Instagram e WhatsApp.
“Diciassette persone, compresi manifestanti e poliziotti, hanno perso la vita negli eventi degli ultimi giorni”, dicono le tv ufficiali, mentre l’ong Iran Human Rights (IHR), che ha sede a Oslo, sostiene: “Il popolo iraniano è sceso in piazza per lottare per i propri diritti fondamentali e la propria dignità umana e il governo sta rispondendo a queste manifestazioni pacifiche con le pallottole” uccidendo 31 persone, ha denunciato il direttore Mahmood Amiry-Moghaddam.
La morte di Amini ha suscitato grande indignazione in tutto il mondo. Secondo gli attivisti, la donna originaria del Kurdistan, regione nel nord-ovest del Paese, è stata colpita a morte alla testa, ma i funzionari iraniani hanno negato questa ipotesi e hanno annunciato un’indagine. Dall’inizio delle proteste, le connessioni internet sono state rallentate e l’accesso a Instagram e WhatsApp è stato poi bloccato. “Per decisione delle autorità, non è più possibile accedere a Instagram da mercoledì sera. Interrotto anche l’accesso a WhatsApp”, ha riferito l’agenzia di stampa Fars. La misura è stata presa a causa “delle azioni compiute dai controrivoluzionari contro la sicurezza nazionale attraverso questi social network”, ha proseguito l’agenzia.
Nel pieno delle proteste è scoppiato anche il caso che ha interessato l’intervista tra la celebre inviata della Cnn, Christiane Amanpour, e il presidente Ebrahim Raisi che ha deciso di far saltare l’intervista all’ultimo minuto dopo il rifiuto della giornalista di indossare il velo in sua presenza come simbolo di sostegno alle proteste. La popolare reporter ha pubblicato sul suo account Twitter la foto della sedia vuota nel luogo in cui si sarebbe dovuto tenere il colloquio, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York: “E così ce ne siamo andati. L’intervista non c’è stata. Con le proteste che continuano in Iran e le persone che vengono uccise, sarebbe stato un momento importante per parlare con il presidente Raisi”, ha scritto Amanpour sul suo profilo.