Tra i 43 progetti su centrali a gas e altri quindici per rigassificatori e depositi, la realizzazione di oltre duemila chilometri di nuove condotte sul fronte dei metanodotti, e 39 istanze per ottenere permessi di ricerca e coltivazione di idrocarburi, oggi in Italia sono più di 120 le infrastrutture legate a fonti inquinanti in valutazione presso il ministero della Transizione ecologica. Lo denuncia Legambiente che, alla viglia dello sciopero globale per il clima a cui parteciperà in una ventina di piazze della Penisola, pubblica la mappa dal titolo ‘L’Italia fossile’ che raccoglie dati e numeri sugli impianti a fonti inquinanti. È un numero in continuo cambiamento tra nuove proposte e qualche rigetto. Sono incluse nella mappa tutte le procedure autorizzative aperte (sia quelle in attesa di approvazione, sia i progetti approvati dal 2020 ad oggi con verifiche di ottemperanza in corso) “ma anche la corsa al gas che l’Italia continua a portare avanti in barba al caro bollette, alla crisi climatica e alle mancate opportunità di innovazione per il settore energetico e per i territori”, sottolinea Legambiente, secondo cui “è fondamentale non realizzare nessuna altra nuova centrale a gas” dato che “quelle costruite negli ultimi due decenni hanno prodotto una situazione di sovracapacità”. Sul medio periodo, per l’associazione ambientalista, sarà necessario intervenire in termini di sprechi, visto che una certa quantità di gas metano viene dispersa lungo l’intera filiera delle infrastrutture a fonti fossili. Ma servono anche interventi e politiche per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili, tuttora rallentato da diversi ostacoli e che permettano la realizzazione di almeno 85 GW di nuovi impianti Fer entro il 2030 con cui raggiungere l’84% di elettricità rinnovabile nel mix elettrico, come proposto dalla stessa associazione di Confindustria Elettricità Futura.

Le centrali termoelettriche – Ad oggi, invece, la corsa è quella verso le fonti fossili. Per il settore termoelettrico sono ben 43 i progetti su centrali a gas per circa 12 gigawatt di nuova potenza: si tratta di sette nuove centrali termoelettriche a gas metano (di cui tre all’interno di stabilimenti industriali), 26 interventi di revamping o installazioni di nuove turbine, due riconversioni da olio combustibile, sette riconversioni di centrali precedentemente alimentati a carbone e una da biomasse di grandi dimensioni. Tra questi, anche la Centrale termoelettrica di Monfalcone per la quale è prevista la riconversione a gas con una centrale da 770 megawatt anche grazie al sussidio economico del Capacity Market e che A2A si è aggiudicata per il 2024. Grazie a questo sussidio sono, ad oggi, ben 20 i progetti a fonti fossili che, secondo una stima di Legambiente, potranno godere di circa 146 milioni di euro per la realizzazione di 2,6 gigawatt di nuova potenza a gas fossile.

I rigassificatori e il rischio dipendenza – Accanto ai nuovi contratti di fornitura da Paesi come Egitto, Algeria, Congo, Qatar, Angola, Nigeria, Mozambico, Indonesia e Libia, il governo ha poi imposto un’accelerata alla realizzazione di due rigassificatori, quello di Piombino e quello di Ravenna, che stanno godendo di procedure autorizzative semplificate. Ad oggi, secondo le ricerche condotte da Legambiente, sono stati individuati almeno 15 progetti tra rigassificatori e depositi presentati al miTe per procedure Via e Aia, tra nuove infrastrutture e ammodernamenti di quelli esistenti. A questi si aggiungono due rigassificatori (quelli di Gioia Tauro e Porto Empedocle) e il deposito GNL di Brindisi, approvati ma poi mai realizzati e ora tornati in auge. Considerando anche questi ultimi, sono 16 le possibili nuove infrastrutture per la rigassificazione e lo stoccaggio di GNL, di cui sei nuovi depositi e dieci rigassificatori che si aggiungono ai tre già in funzione, per una nuova capacità di stoccaggio di 800mila metri cubi di gas e di rigassificazione di più di 31 miliardi di metri cubi di gas. Si raggiunge, così, una capacità strutturale complessiva di quasi 47 miliardi di metri cubi l’anno. Ma anche considerando solamente i progetti presentati presso il miTe (e dunque escludendo Gioia Tauro, Porto Empedocle e Brindisi) l’aumento della capacità di rigassificazione sarebbe comunque di 12 miliardi di metri cubi di gas, raggiungendo quasi 28 miliardi di metri cubi totali annui di capacità nazionale di rigassificazione. “Numeri che raccontano bene il rischio dipendenza per i prossimi 25 anni, considerando che proprio il rigassificatore di Ravenna dovrebbe sostare nelle acque marine proprio per tutto questo periodo”, denuncia Legambiente. “Per bilanciare la carenza di gas che prima arrivava in gran parte dalla Russia – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – il nostro Paese sta scegliendo come soluzione l’utilizzo sempre maggiore delle fonti fossili da altri paesi grazie ai gasdotti e ai rigassificatori. Si tratta di un grave errore che si ripercuoterà anche sul clima”. Tutto questo mentre “la crisi climatica sta accelerando il passo come dimostra anche l’aumento degli eventi metrologici estremi in Italia, come le ondate di calore e le alluvioni dell’estate che si è appena conclusa”.

Quei chilometri di metanodotti – Ad oggi è in programma la realizzazione di circa 2.300 chilometri di nuove condotte, di cui 1.360 in sostituzione di tubazioni in dismissione e circa mille in aggiunta alla rete già esistente. Anche in questo caso, le infrastrutture fanno riferimento a progetti che sono in attesa di Via o che hanno ricevuto l’autorizzazione negli ultimi due anni e che, dunque, potrebbero essere già realizzate o in via di realizzazione. Basti pensare all’iniziativa Sealine Tirrenica, un gasdotto sottomarino di 271 chilometri che dovrebbe collegare la Sicilia alla Campania, o anche alla Linea Adriatica Snam (lunga 689 chilometri) dalla Puglia all’Emilia Romagna, tra rifacimenti e nuove condutture. In totale si parla di 42 progetti presentati al miTe, di cui 15 per gasdotti da realizzare ex novo e 25 rifacimenti di condotte già esistenti tra sostituzioni e modifiche alla portata. Alla rete interna di gasdotti si aggiungono, poi, due possibili progetti per l’import-export di gas, ovvero l’East Med, lungo 2mila chilometri, finalizzato all’importazione di 10/20 miliardi di metri cubi di gas l’anno da Israele, e il Melita Transgas, con il quale esporteremmo gas verso Malta.

Le trivellazioni in un’area estesa come l’Austria – Sono, infine, 39 le istanze per ottenere permessi di ricerca e coltivazione di idrocarburi per ulteriori 76.694 chilometri quadrati di territorio italiano dedicati alla produzione di fonti fossili, ovvero una superficie simile all’estensione dell’Austria, in aggiunta agli attuali 33.618. In parallelo, altre 18 richieste sono in attesa della Via e dell’Aia da parte del miTe per autorizzare perforazioni di nuovi giacimenti o la realizzazione di nuove infrastrutture per avviare la produzione. “Qualora questi progetti dovessero essere autorizzati e realizzati – spiega Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – l’Italia abbandonerebbe non solo qualsiasi speranza di poter affrontare in maniera efficace la crisi climatica, non riuscendo in alcun modo a soddisfare gli obiettivi di contenimento delle temperature e di decarbonizzazione definiti dalla comunità internazionale, ma non sarebbe neanche in grado di offrire opportunità concrete di riduzione dei costi in bolletta a imprese e famiglie, rimanendo per i prossimi 25 anni, totalmente dipendente dalle forniture di gas fossile da altri Paesi, spesso al centro situazioni geopolitiche e sociali instabili”.

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