I partiti trattano i giovani come prede elettorali. Ogni volta che un partito o un leader sbarca su TikTok e promette bonus, scimmiottando una parodia del linguaggio dei giovani, come faceva il Sig. Burns nei Simpson nella puntata in cui si fingeva uno studente, non sta cercando di rispondere per davvero ai nostri bisogni, ma solo di andare a caccia dei nostri voti. I giovani come “oggetto”, mai come “soggetto” .

Lunedì 12 settembre, nel suo DataRoom sul Corsera, Milena Gabanelli dà conto sull’astensione dei giovani tra i 18 e i 34 anni. Analizza i dati dal 1992 e arriva fino al 2018. Nel 1992 il tasso di astensione generale fu del 13%; tra i giovani gli astenuti furono “solo” il 9%, contro il 20% degli over 55. Nel 2018 c’è il rovesciamento completo: l’astensione aumenta sì tra tutte le fasce d’età (27%), ma tra i giovani schizza al 38%; tra i più anziani si ferma al 25%.

Quali sono i fattori che hanno portato all’allontanamento dei più giovani dalla politica negli ultimi 30 anni? La “spoliticizzazione” di tutta la società. Ad arretrare non è stato solo il tasso di partecipazione elettorale, ma quello di partecipazione politica nel complesso. Essere adolescenti nel 1992 significava avere un’adolescenza in cui si masticava politica. Oggi il panorama è cambiato radicalmente e la sfida della politica non è solo raccogliere voti/consenso, bensì costruire partecipazione e protagonismo popolare.

C’è una sfiducia crescente nelle istituzioni tradizionali. Spesso oscurata da narrazioni utilitaristiche per cui se studi, se ti impegni, se ti sacrifichi sul lavoro, allora un domani ti si apriranno finalmente le porte del successo. Successo che puntualmente questa società è incapace di garantire anche nella sua forma più semplice della stabilità economica. La promessa “tradita” oggi lascia il posto al disincanto. Le “magnifiche sorti e progressive” per intere generazioni semplicemente non esistono più. C’è chi dice che non ci sono abbastanza politici “giovani”, ma l’identificazione non è solo questione anagrafica. Pensate a Sanders (Usa) e Corbyn (Uk), non proprio dei giovincelli, e ai loro risultati eccezionali tra i giovani, tanto in termini di voto quanto di partecipazione politica a 360 gradi. La chiave sta nella forza dei loro progetti di emozionare e coinvolgere. Di offrire la speranza di poter raggiungere trasformazioni necessarie.

Infine forse il fattore più importante: se si è precari, si vota meno, con un astensionismo che sale al 38%. Viene difficile capire perché i 360mila giovani tra i 20 e i 29 anni che oggi guadagnano meno di 876 euro al mese (il 13% del totale) dovrebbero accordare la propria fiducia alla stessa classe politica che negli ultimi 30 anni ha approvato il Jobs Act, precarizzato il lavoro e abolito l’art.18, regalando loro questa condizione di povertà e assenza di orizzonte. Il 62% degli under 24 che un lavoro ce l’ha pure ha un contratto a termine. Un giovane su tre tra i 25 e i 34 anni ricade nel part-time o nel tempo determinato involontario. Che si traduce in povertà – oltre che in precarietà. Fra chi ha tra i 18 e i 34 anni sono 2 milioni di persone in questa condizione. Addirittura 388mila le uniscono entrambe: un part-time involontario con contratto a tempo determinato.

Bamboccioni, sfigati, choosy, “divanisti”, “gente senza voglia di lavorare”. Questi gli epiteti con cui i media e i Briatore di turno parlano di noi. Andremmo via di casa molto tardi rispetto agli scandinavi che a 18 anni “ciao ciao” a mamma e papà. Qui lo si fa in media a 30 anni perché siamo “mammoni”? O forse perché qui il lavoro è povero, precario e una stanza – non un appartamento intero! – a Milano costa 620 euro e si inizia con stage con una retribuzione a volte al di sotto di quella cifra? “La seconda che hai detto”, direbbe Quelo.

Il secondo mantra è che in Italia si fanno pochi figli. Vero. Ma leggete le parole di Virginia: “Scopri di essere incinta, sei felice; un istante dopo preoccupata perché lavori per una piccola azienda. Fai di tutto per continuare ad andare a lavorare, anche quando il tuo lavoro è incompatibile con una gravidanza. Una mattina ti svegli e devi correre dal ginecologo per un distacco della placenta. E allora ti metti in malattia. Ma continuano comunque a farti lavorare da casa. Ogni mese per avere lo stipendio devi chiedere, perché sempre in ritardo. Tu devi continuare a pagare 140 € di ginecologo privato, morfologica privatamente 180 €, integratori 40 € ogni mese. Partorisci, sei felice. Ma quando il bimbo ha 3 mesi devi rientrare a lavoro. Ti fanno sentire in colpa se rimani a casa perché tuo figlio ha la bronchiolite a 2 mesi, se tuo figlio prende il Covid a 4 mesi, se devi portarlo a fare i vaccini”.

I giovani votano coi piedi, lasciando l’Italia e cercando una vita migliore altrove. I giovani votano astenendosi. Non servono spot o promesse vuote. Serve farsi carico dei problemi di un sistema che è arrivato alla fase del crollo e che sta trascinando tutti noi con sé. Servono progetti che costruiscano il riscatto non con un mero programma elettorale, ma con la pratica politica, quando ci sono le elezioni ma soprattutto quando non ci sono. Servono soluzioni, cominciando dal quotidiano. Perché “le parole insegnano, gli esempi trascinano”.

Nota di trasparenza: il blogger è candidato alle Politiche nelle liste di Unione Popolare

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