La denuncia di Elisabetta Donadello conferma le accuse del relatore del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite contro la disinformazione e la mancata prevenzione da parte della Regione Veneto e delle autorità sanitarie sull'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche: "Solo per caso, un anno fa, ho scoperto che la nostra famiglia vive in una delle 69 vie di Vicenza dove da nove anni è vietato bere l’acqua dei pozzi. Nessuno ha informato la popolazione"
“I miei figli hanno valori Pfas nel sangue fuori dai limiti, ma la Regione mi nega analisi e non risponde. Ricordatelo il 25 settembre”. Elisabetta Donadello ha 48 anni e vive con la sua famiglia nella zona ovest di Vicenza, ai confini con il comune di Creazzo. Si è presentata come una donna-sandwich davanti al palazzo di Giustizia dove si sta celebrando il processo ai manager della Miteni, la società di Trissino accusata di aver causato il colossale inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche. I reflui sono entrati nella falda che scorre nel sottosuolo del Veneto e da lì sono risaliti negli acquedotti, oltre che nei pozzi che abbeverano orti e campi nelle province di Vicenza, Verona e Padova.
Le sue parole sono la conferma delle accuse del relatore del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite contro la disinformazione e la mancata prevenzione da parte della Regione Veneto e delle autorità sanitarie. Elisabetta Donadello incarna la contraddizione di un’emergenza che viene affrontata in modo alquanto singolare. Chi vive nella Zona Rossa (Comuni più contaminati) ha diritto alle analisi sanitarie che certifichino la presenza di Pfas nell’organismo. Chi vive nella Zona Arancione è costretto a convivere con la paura, senza avere conferme, ma sa di avere bevuto la stessa acqua dei paesi vicini. La Regione non autorizza e non consente gli esami, il medico di base allarga le braccia, impotente, l’Uls dichiara che la Regione ha accentrato tutto.
“Solo per caso, un anno fa, ho scoperto che la nostra famiglia vive in una delle 69 vie di Vicenza dove da nove anni è vietato bere l’acqua dei pozzi. – racconta la signora – Nel sito del Comune c’è un’ordinanza dell’allora sindaco Achille Variati, con la data del 13 agosto 2013. Non è mai stata pubblicizzata. C’è scritto che l’acqua è inquinata, ma nessuno ha informato la popolazione, anche se il documento si conclude con l’invito all’inserimento nell’Albo Comunale e con l’invio alla Regione, alla Prefettura, alla Provincia di Vicenza e all’Uls”. Un monumento all’inefficienza informativa. “All’epoca neppure sapevamo cosa fossero i Pfas, anche oggi la maggioranza della popolazione non è informata. Io vivo nella zona della Fiera e l’acqua del pozzo la uso da 40 anni per annaffiare l’orto. Sa cosa significa? Che il mio organismo ha continuato ad assorbire le sostanze e che io le ho trasmesse ai miei figli. Ma siamo in Zona Arancione e la Regione Veneto ci impedisce di analizzare il sangue per cercare i 15 principali Pfas”.
La sanità veneta, fiore all’occhiello del governatore Luca Zaia, in realtà ha messo un blocco. “È da anni che chiediamo inutilmente di effettuare le analisi. Nel 2021, assieme a una quindicina di famiglie residenti nella Zona Arancione, abbiamo inviato una posta certificata all’Uls 8 Berica. Ci hanno risposto che non possono farci nulla. È tutto ‘blindato’ dalla Regione Veneto. Allora lo scorso febbraio abbiamo mandato una diffida, chiedendo ancora una volta di effettuare gli esami”. Il risultato? “L’Asl ha risposto dopo due mesi dichiarando che la competenza non è loro, ma della Regione. Da Francesca Russo, che è a capo della Direzione Prevenzione, Sicurezza alimentare e Sanità pubblica, ci è arrivata una risposta secondo cui non ci sarebbero i presupposti per modificare il piano di screening della Regione che riguarda solo le ‘coorti’ residenti nella Zona Rossa. Una lettera beffarda…”.
Perché? “C’è scritto che qualora emergessero ‘elementi significativi’ si procederà a rivalutare la situazione. Ma quali elementi nuovi e significativi se non si possono eseguire gli esami del sangue? Questa è una presa in giro… Ma non ci siamo arresi. Siamo andati in Germania”. Hanno spedito ad un centro universitario di Norimberga i campioni di sangue di una decina di bambini abitanti a Vicenza, Creazzo, Sovizzo e Montecchio Maggiore. “Abbiamo inviato anche il sangue di un bambino che risiede nella Zona Rossa, per confrontare i valori. È venuto fuori che i miei figli hanno il sangue contaminato dagli Pfas, con valori simili a quelli del bambino che vive nella Zona Rossa: 13,44 microgrammi per litro, quando la soglia consentita in Italia è di 8 microgrammi, e in Germania di 10 microgrammi. Il fatto è che noi restiamo esclusi dal monitoraggio della Regione, mentre a chi vive nella Zona Rossa viene scritto di rivolgersi tempestivamente al medico di base o alle autorità sanitaria nel caso insorgessero determinate patologie”.
Elisabetta e le altre mamme non si arrendono facilmente. “Abbiamo inviato i risultati delle analisi tedesche alla Regione Veneto, illudendoci che si trattasse di ‘elementi significativi’ da prendere seriamente in considerazione. Non ci hanno ancora risposto”. Commento finale: “Sono cose indegne di un Paese democratico. Può immaginare il nostro stato d’animo: io so di avere gli Pfas nel sangue, so di averlo trasmesso ai miei figli e non posso fare assolutamente niente”.