Wartsila deve ricominciare tutto daccapo se davvero vorrà chiudere lo stabilimento di San Dorligo, a Trieste, licenziando i 451 dipendenti. Perché la sua condotta nell’apertura della procedura è stata antisindacale. Quei pochi minuti di video, senza alcuna comunicazione preventiva ai rappresentanti dei lavoratori, era un modo selvaggio per annunciare che quasi 500 persone sarebbero rimaste senza un lavoro, appiedate dopo anni di turni perché il management finlandese ha deciso di accentrare la produzione in patria. Lo ha stabilito il giudice del lavoro del Tribunale di Trieste, Paolo Ancora, accogliendo il ricorso presentato dai sindacati metalmeccanici e condannando l’azienda al pagamento di 50mila euro a ogni sigla sindacale a titolo di risarcimento per danno di immagine. La sentenza è chiarissima sul comportamento di Wartsila: “il combinato disposto” delle norme del contratto nazionale del lavoro e del regolamento aziendale non lasciano “adito a dubbi sul fatto che l’azienda fosse obbligata a consultare il sindacato” e “ad informarlo periodicamente sull’andamento dell’attività del sito produttivo”.
“A tale obbligo informativo – chiarisce il giudice in un passaggio del decreto con cui ha accolto il ricorso dei sindacati – l’azienda è senz’altro venuta meno perché da una parte la comunicazione del 14 luglio 2022 dà conto delle problematiche che hanno inciso sulla competitività del sito produttivo risalenti al 2020, dall’altra i sindacati lamentano, e la società nulla ha allegato di concreto e specifico che provi il contrario, di non essere mai stati informati in ordine a future ricadute negative sui livelli di produzione e occupazione” relativi allo stabilimento triestino della multinazionale, che vede impiegati 451 dipendenti. Tra i vari richiami, il giudice ricorda che lo scorso 8 marzo si tenne un incontro tra azienda, sindacati e Regione durante il quale il presidente di Wartsila “fornì rassicurazioni sul futuro del sito come risulta dal verbale di quella riunione” nel quale si legge che i piani dell’azienda “prevedono che si continui a produrre” e si parla di un portafoglio ordini per motori marini “che copre il secondo semestre fino al 2023”.
Nella sentenza, visionata da Ilfattoquotidiano.it, si legge che Wartsila ha provato a difendersi spiegando che la filiale italiana non avrebbe potuto informare i sindacati per questioni di “segretezza” decise dalla capogruppo finlandese e, al contempo, aveva spiegato che la decisione del quartier generale era arrivata solo la sera del 13 luglio, poche ore prima della comunicazione ai dipendenti. Una difesa definita “debole” dal giudice prima di ricordare che in ogni caso i sindacati andavano informati “preventivamente”, essendoci un “obbligo” che supera qualsiasi altra esigenza. Altrimenti, è la spiegazione del tribunale, bisognerebbe ritenere che gli obblighi “possano essere del tutto cancellati in ragione delle esigenze di segretezza della capogruppo” e “che dunque la necessità di non turbare gli equilibri del mercato finanziario possa prevalere in maniera assoluta ed irrimediabile su diritti tutelati in via diretta dalla Costituzione”. In questo caso, invece, il sindacato è stato invece “semplicemente posto di fronte al fatto compiuto”, con la conseguenza che “è stato impedito di adempiere alla sua funzione istituzionale”.
Con il decreto il giudice in pratica azzera la procedura di licenziamento avviata dall’azienda, che dovrà riprendere il dialogo con i sindacati informandoli della propria strategia in merito alle attività italiane. Una sentenza “esemplare” la definisce Luca Trevisan, segretario nazionale della Fiom, perché “condanna la multinazionale per i mancati obblighi di informazione previsti dal contratto nazionale, revoca la procedura di licenziamento e condanna il gruppo” al risarcimento. “È un punto di partenza straordinario e per questo la mobilitazione non si fermerà perché si tratta di garantire l’occupazione e la produzione del sito di Triste”, prosegue annunciando per la prossima settimana la convocazione di assemblee dei lavoratori. Wartsila, ha detto ancora Trevisan, voleva mettere in atto uno “scempio”, mentre la sentenza “contribuisce a rafforzare il sindacato e i lavoratori nel contrasto alle delocalizzazioni e nella difesa del patrimonio industriale e professionale del Paese”. Dopo la pronuncia del tribunale è intervenuto anche il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, secondo cui la sentenza dimostra che “l’approccio di Wartsila era sbagliato”.