Mario Draghi in conferenza stampa il 16 settembre l’ha presentata come “di fatto una rateizzazione delle bollette“. In realtà si parla di nuovi debiti con garanzia pubblica gratuita per pagarle. Il decreto Aiuti ter, pubblicato venerdì sera in Gazzetta ufficiale, per aiutare le imprese a far fronte ai rincari energetici propone infatti una ulteriore riedizione della misura varata nel 2020 all’apice della pandemia: lo Stato si fa garante dei prestiti concessi dalle banche alle aziende energivore che non riescono a star dietro all’aumento dei costi. La norma suscita diversi interrogativi: non è chiaro se sia “immediatamente operativa” come ha detto il ministro dell’Economia Daniele Franco, perché nel provvedimento si legge che “l’efficacia è subordinata all’approvazione della Commissione europea“. Passando al merito, l’intervento è ritenuto deludente dalle imprese. Sullo sfondo c’è il timore che possa gettare le basi per l’apertura di un buco di bilancio proprio mentre si cerca di attutire l’impatto dei possibili default sui quasi 250 miliardi di crediti garantiti risalenti al 2020 e 2021. Con il decreto Aiuti bis il governo ha infatti consentito alla società pubblica Amco di rilevare una parte dell’enorme massa di prestiti, in modo da ritardare la loro trasformazione in sofferenze.

Un passo indietro. La rateizzazione delle bollette con il supporto di una garanzia pubblica era stata in effetti concessa dal decreto Ucraina di marzo per le spese sostenute per i mesi di aprile e maggio. L’articolo 3 dell’Aiuti ter invece non parla di rate ma solo di prestiti per pagare le fatture per consumi energetici emesse in ottobre, novembre e dicembre. La garanzia della società pubblica Sace – riservata alle imprese più grandi – potrà essere concessa se il tasso di interesse applicato al finanziamento è inferiore a quello annuo minimo garantito dai Btp di durata pari “o immediatamente superiore” al finanziamento. Questa parte è stata modificata dopo il consiglio dei ministri: nelle bozze era previsto che il tasso dovesse obbligatoriamente pari a quello offerto da Btp, come del resto spiegato anche da Draghi in conferenza stampa. L’altra novità è che le garanzie potranno riguardare anche prestiti legati a “esigenze di liquidità delle imprese relative agli obblighi di fornire collaterali per le attività di commercio sul mercato dell’energia“, intervento invocato dai rivenditori di elettricità e gas che rischiano il default dopo aver visto aumentare anche di dieci volte i costi di approvvigionamento della materia prima.

L’ammontare massimo del prestito garantito da Sace potrà essere aumentato “fino a coprire il fabbisogno di liquidità per i successivi 12 mesi per le piccole e medie imprese e per i successivi 6 mesi per le grandi imprese” e “in ogni caso entro un importo non superiore a 25 milioni di euro” rispetto a quanto previsto dal primo decreto Aiuti per le aziende che avevano subito le prime ripercussioni dell’invasione ucraina (in quel caso il tetto era rappresentato dalla cifra maggiore tra 15% del fatturato medio degli ultimi tre esercizi e il 50% dei costi sostenuti per l’energia nei precedenti 12 mesi). Il tutto è comunque subordinato al fatto che il beneficiario sia un’impresa energivora. Scompare il requisito, presente nelle bozze, di perdite non inferiori al 50% del costo del gas naturale e dell’elettricità acquistati tra febbraio e dicembre 2022. Per quanto riguarda il sostegno ai prestiti per le piccole e medie imprese, di cui si occupa il Fondo di garanzia ad hoc, la garanzia arriverà all’80%. Il governo specifica che le garanzie Sace “sono concesse nel rispetto delle previsioni in materia di regime “de minimis” di cui alla Comunicazione della Commissione Quadro temporaneo di crisi per misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia a seguito dell’aggressione della Russia e ai pertinenti regolamenti”. Il regime de minimis, ora in fase di revisione, prevede che i Paesi membri possano concedere senza notifica a Bruxelles sostegni fino a 200mila euro in tre anni per ogni impresa.

Le imprese ritengono il testo “deludente”, come ha spiegato il vicepresidente per credito, finanza e fisco di Confindustria Emanuele Orsini, perché “occorre favorire un allungamento della durata dei finanziamenti garantiti, sia in essere sia nuovi, per attenuare le tensioni finanziarie delle imprese, già appesantite dal ricorso massivo al credito bancario per far fronte alla crisi pandemica”. Un refrain ripetuto anche dal presidente dell’Associazione delle banche italiane, Antonio Patuelli, che al Corriere della Sera ha detto che occorre “un framework europeo che conceda la possibilità alle imprese di chiedere – e alle banche di concedere – nuove moratorie e altre misure per la ristrutturazione dei finanziamenti e avere così più tempo per recuperare denaro e rimettere i debiti quando i costi dell’energia saranno più affrontabili di ora. E oggi le moratorie non ci sono”. Nei giorni scorsi del resto il presidente del consiglio di vigilanza della Banca centrale europea, Andrea Enria, ha esortato gli istituti di credito a occuparsi della “concentrazione dell’esposizione verso settori particolarmente dipendenti dall’energia e sensibili agli choc energetici”, oltre che ai settori più esposti all’innalzamento dei tassi d’interesse, come quello immobiliare-residenziale, i prestiti al consumo e i derivati sull’energia. L’Eurotower ha chiesto “di rivedere le loro proiezioni patrimoniali in scenari avversi e gravi”.

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