L’ultimo caso risale a pochi giorni fa, il 15 settembre, quando un poliziotto si è tolto la vita a Milano. Aveva 31 anni, agente scelto, una carriera davanti ma qualcosa lo ha indotto ad usare la pistola d’ordinanza per farla finita. La tragica notizia potrebbe rientrare tra le brevi di cronaca, un fisiologico accadimento che può capitare ovunque, anzi l’Italia, tra i Paesi Ocse, registra uno dei più bassi livelli di mortalità per suicidio. Tra il 1993 e il 2009 la mortalità è diminuita significativamente da 8,3 a 6,7 suicidi ogni centomila abitanti, stando ai dati Istat. Se non fosse che il numero dei “suicidi in divisa” ha un trend preoccupante. La contabilità stabilisce che tra il personale delle forze armate e di sicurezza i suicidi sono in aumento. Nell’anno in corso siamo già a cinquanta: dieci carabinieri, di cui quattro forestali, sei finanzieri, tre militari dell’Esercito, tre agenti della Polizia Penitenziaria (più un tentativo di suicidio); diciotto appartenenti alla Polizia di Stato, di cui uno da poco in pensione (+3 tentativi di suicidio), cinque agenti della Polizia Locale, due guardie giurate, due vigili del fuoco e un militare dell’Aeronautica. L’anno scorso erano stati 57, nel 2020 sei in meno e l’anno prima ben 69. Una media alta di cittadini in uniforme che si tolgono la vita.
L’Osservatorio Suicidi in Divisa – Valutare questi numeri è complesso, soprattutto stabilire che un evento tragico e intimo come il suicidio possa essere ricondotto a una condizione esterna alla persona più che alle sue più profonde ferite. Però quell’elenco riguarda persone che hanno in comune una vita strettamente dettata da regole militari, comunque rigide anche per i corpi civili, e che, soprattutto, hanno a disposizione una pistola, che utilizzano per togliersi la vita. Dunque, una riflessione va fatta. I dati riportati sopra sono curati dall’Osservatorio Suicidi in Divisa, nato dal 2014 e animato da un appartenente alla Guardia di Finanza, Cleto Iafrate, il quale spiega che quei numeri potrebbero essere in difetto, perché sono basati esclusivamente su ‘fonti aperte’, cioè su notizie riferite dalla stampa o da altri mezzi di comunicazione, dunque del tutto attendibili, ma che escludono gli eventi non segnalati, soprattutto per volontà dei familiari che spesso tendono a tenere riservata la circostanza.
“Chi è fragile non trova sponde all’interno” – Federico Menichini, rappresentante dell’Assomil, l’Associazione militari, un gruppo sindacale interforze, dice chiaramente che “non si tratta di dare colpe al mondo militare, questo non esiste, ma è certo che chi è fragile non trova sponde all’interno“. Il problema, sottolinea, “esiste ed è serio, riguarda soprattutto gli uomini (solo una donna si è suicidata quest’anno), ma è nata una forte consapevolezza all’interno del mondo sindacale delle forze armate: almeno la metà delle sigle si sta raggruppando per affrontare e contrastare la questione suicidi e per sensibilizzare le amministrazioni, spesso molto chiuse”. Quando si verifica un evento luttuoso di questo tipo, aggiunge Menichini, “in genere c’è la loro corsa a dire che è stato per motivi affettivi, sentimentali o cose del genere. Qualche mese fa l’Nsc, il Nuovo sindacato dei Carabinieri, ha dedicato al tema un convegno a Forte dei Marmi. Ripeto, nessuno intende colpevolizzare la vita militare ma è necessario fare in modo che all’interno ci sia attenzione e capacità di affrontare il problema. Ora se hai un disagio, se hai difficoltà con l’organizzazione del lavoro o con i colleghi, ad esempio, non trovi facilmente chi ti aiuta, e questa cosa deve finire”.
“Non ci sono questi suicidi in altri ambienti lavorativi” – Va da sé che alcune persone in divisa scelgono di farla finita per motivi riconducibili alla loro vita personale e familiare. Secondo Iafrate, egli stesso militare e molto attento ai più piccoli risvolti degli effetti di una vita in divisa, già il fatto di avere la disponibilità di un’arma da fuoco crea le condizioni affinché il disagio, in alcuni casi, si trasformi in tragedia. Ma anche in altri ambienti lavorativi esiste un enorme disagio, ad esempio gli infermieri e, in generale, tutto il personale ospedaliero: “Sono a contatto quotidianamente con la sofferenza e la morte; anche loro hanno la disponibilità di farmaci. Eppure non mi pare che nelle corsie degli ospedali il fenomeno suicidario sia così diffuso”.
“Storture nel mondo militare” – Dunque c’è un componente legata alla vita militare? “I fattori patologici sono riconducibili, a mio avviso, ad alcune gravi e anacronistiche storture presenti nel mondo militare e delle forze di polizia, effetto di una malintesa e mal declinata specificità militare. Penso, ad esempio ai trasferimenti di sede, agli annuali giudizi caratteristici, alle sanzioni disciplinari e le benemerenze di servizio”. Tutti elementi che creano fortissime tensioni emotive, talvolta non sopportabili da chi ha già sue fragilità. Ma la vita militare non esige proprio quel rigore? “Ipotizziamo che in Italia i presidi abbiano il potere di trasferire bidelli e professori lontano dai loro affetti, di retrocedere i professori a bidelli e di laureare i bidelli e metterli in cattedra ad insegnare. In tali circostanze, se il preside dovesse chiedere al bidello di eseguire un ordine che andrebbe disatteso – per esempio, manomettere il registro di classe, oppure cancellare una nota – quel bidello come si comporterebbe?”.
Poliziotti: “Età media troppo alta” – Esprimono preoccupazione anche dai sindacati della polizia. “Sì, è vero, i suicidi tra i lavoratori della sicurezza sono in costante aumento purtroppo”, dice Daniele Tissone, da otto anni segretario generale della Silp Cgil, ora uscente per limiti di età, che ha dedicato molta attenzione al tema nella sua relazione al VI Congresso dell’Organizzazione sindacale, tenuto pochi giorni fa. “C’è indubbiamente un grande problema legato all’organizzazione del lavoro – dice – Pensi che l’età media dei poliziotti è di 52 anni e che l’organico è sotto di ben 12 mila unità dal 2008. Il nostro è un lavoro molto duro, le pattuglie in strada sono diventate ancora più stressanti dopo il lockdown perché la gente è più aggressiva, mentre i turni per coprire le ventiquattro ore incidono molto sulle persone alterando il ciclo del sonno”. Allarmato anche il commento di Stefano Paoloni, segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia: “La media dei suicidi tra il personale delle forze dell’ordine è superiore alla media di questi eventi tra la popolazione del nostro paese: serve dunque una chiara e decisa presa di coscienza e un immediato intervento, il problema è fin troppo delicato, va affrontato con determinazione. Si è costituito un tavolo all’interno del Ministero tra medici, dirigenti e sindacati per affrontare il disagio all’interno delle forze dell’ordine, noi chiediamo che si riunisca in via permanente e individui delle soluzioni immediate per offrire sostegno a chi ne ha bisogno”. La stessa forte preoccupazione è espressa da un autorevole rappresentante della dirigenza della Polizia di Stato che ha chiesto di rimanere anonimo ma che sottolinea “la scarsa attenzione sistemica alle condizioni di benessere del personale. Le dirò di piu: esiste ormai una scollatura molto grave tra l’amministrazione e il personale. Quando un poliziotto ha due anni di ferie arretrate e magari ha problemi personali, come una separazione, sempre più frequenti, è chiaro che viene a trovarsi in una condizione di vita molto difficile. Oppure penso al pendolarismo dei poliziotti: sa che spesso si fanno chilometri ogni giorno avanti e indietro per andare al lavoro, una cosa folle, qualcuno prima o dopo dovrà occuparsi anche di capire se esiste un problema nel numero dei poliziotti morti per incidenti stradali avvenuti nel tragitto casa-lavoro”. Intanto la strage silenziosa tra le forze dell’ordine continua.
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