Il ministero dell'Interno iraniano nega la responsabilità della polizia morale nella morte di Amini. A Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, alcune donne hanno bruciato il velo islamico sotto gli uffici della Nazioni Unite, mentre il governo accusa i manifestanti di seguire "gli Stati Uniti, i Paesi europei e i controrivoluzionari con il fine di creare disordine e distruzione"
Continuano le proposte in Iran al grido di “abbasso la dittatura” e “donna, vita e libertà”, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, la 22enne arrestata dalla polizia morale a Teheran con l’accusa di aver indossato male il velo. Le piazze chiedono di sostenere il popolo perché, si legge su alcuni cartelloni, “le persone vengono uccise per la libertà in Iran”. Un fotografo di France Presse ha riportato che durante la manifestazione sono state bruciate anche alcune bandiere del Paese. Il presidente Ebrahim Raisi ha ordinato alle forze dell’ordine di trattare “con durezza” i manifestanti: i numeri ufficiali riportano 35 morti negli scontri in piazza, il bilancio ufficioso ne conta 50. Solo nella provincia di Gilan, nel nord dell’Iran, ci sono stati dall’inizio delle proteste oltre 739 arresti, tra cui 60 donne, ha annunciato il capo della polizia, Azizollah Maleki.
Ma le manifestazioni varcano anche i confini nazionali: oltre 300 manifestanti si sono riuniti sotto gli uffici delle Nazioni Unite a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, per denunciare “la repressione del regime iraniano”. Alcune delle donne hanno bruciato il velo islamico. Raisi, durante una telefonata con la famiglia di un agente di polizia morto durante le manifestazioni, ha accusato i manifestanti di mettere a rischio la “sicurezza e la tranquillità” del Paese. Sulla stessa linea si muove anche il ministro dell’Interno, Ahmad Vahidi, dichiarando che tutte le persone scese in piazza “seguono gli Stati Uniti, i Paesi europei e i controrivoluzionari con il fine di creare disordine e distruzione“. Per impedire ai manifestanti di organizzarsi, dopo aver bloccato Whatsapp e Instagram, è arrivata la decisione di vietare Stalink, l’internet satellitare di Elon Musk.
Le manifestazioni sembrano destinate a continuare anche nei prossimi giorni: la morte di Mahsa Amini – su cui il ministero dell’interno attende “il rapporto finale del team medico”, negando le responsabilità della polizia – è stata “la scintilla della rivolta”. Lo spiega uno dei tanti cartelloni imbracciati nelle piazze.