VENEZIA. È scontro aperto tra Mamme No Pfas e Pfas.Land, da un lato, e Regione Veneto dall’altro dopo che una donna di Vicenza ha denunciato a ilfattoquotidiano.it di aver avuto conferma solo da analisi effettuate in Germania che uno dei figli ha nel sangue livelli fuori norma di Pfas, le micidiali sostanze pefluoroalchiliche che hanno causato il gravissimo inquinamento nelle province di Verona, Vicenza e Padova. Elisabetta Donadello ha dovuto rivolgersi all’estero perché la sanità veneta non autorizza le analisi ai cittadini a rischio che vivono nella zona arancione, quindi ai limiti della zona rossa più contaminata. Inoltre ha spiegato che il divieto di utilizzare i pozzi privati che attingono dalla falda non era stato sufficientemente pubblicizzato nel 2013, quando il sindaco di Vicenza Achille Variati emise un’ordinanza che recepiva il primo allarme.
La Direzione Prevenzione della Regione Veneto ha diffuso un comunicato per replicare alla ricostruzione, ma non ha smentito il dato cruciale: gli abitanti di 12 Comuni veneti (tra cui anche la parte ovest di Vicenza) non possono essere sottoposti alle analisi, anche se lo chiedono al medico di base e all’Ulss dove sono iscritti. Intanto le Mamme No Pfas rincarano: “Abbiamo sempre chiesto alla Regione lo screening per tutte le persone a rischio, ma non ci ha mai ascoltato”. E alla vigilia del voto Pfas.land lancia l’invito a “delegittimare le autorità politiche che governano la Regione Veneto a livello nazionale. La democrazia ci offre uno strumento, con tutti i suoi limiti, ma sempre uno strumento: il voto. Non usarlo, visto che chi ci governa spesso ‘legittima’ chi ci avvelena, è un suicidio”.
Ecco cosa ha scritto la giunta regionale: “Si ricorda che fin dal 2013, anno in cui fu scoperta la contaminazione da Pfas della falda idrica, la Regione del Veneto ha sempre adottato un approccio di massima tutela della salute pubblica delle persone esposte alla contaminazione e ha garantito trasparenza su tutte le azioni avviate, pubblicando documenti e rapporti sul proprio sito Internet e partecipando a numerosi incontri informativi con i Sindaci e le comunità interessate”. Aggiunge che “per quanto riguarda il problema dei pozzi privati interessati dalla contaminazione, già a settembre 2013 la struttura regionale ha disposto che le Aziende Ulss, attraverso i Comuni, procedessero alla ricognizione dei pozzi presenti nei loro territori, all’individuazione di quelli a uso idro-potabile e all’adozione di misure di interdizione del consumo di acqua potabile per i pozzi con concentrazioni superiori a quelle previste”. La prescrizione risale al 2014, quando la Regione diede ai Comuni “il mandato di emettere un’ordinanza che imponesse ai cittadini utilizzatori di pozzi privati – a uso idropotabile o per produzione di alimenti – l’effettuazione di analisi dell’acqua per la presenza di Pfas e la trasmissione degli esiti alle Aziende Ulss”.
E i 30 Comuni che sono vicini all’Area Rossa? “Nell’area Arancione la rete acquedottistica pubblica non è stata interessata dalla contaminazione, a differenza di quanto avvenuto nell’area Rossa. – spiega la Regione – Questa differenza sostanziale ha determinato una marcata sovra-esposizione dell’area Rossa sia rispetto all’area di controllo, sia rispetto all’area Arancione. La Regione Veneto ha predisposto un piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta dell’area Rossa, includendo anche le analisi del sangue per la determinazione del carico corporeo di Pfas, in quanto maggiormente esposta”. Nessuna spiegazione del fatto che i cittadini in area Arancione non siano oggetto di sorveglianza sanitaria. La Regione si limita a spiegare di aver effettuato uno studio sulla popolazione del comune di Trissino (zona Arancione), dove ha sede l’azienda Miteni, fonte dell’inquinamento, e di aver “disposto nel 2019 un piano di sorveglianza degli alimenti anche dell’area Arancione”.
Il comitato di redazione di Pfas.land replica a muso duro: “Quanto scritto dalla Regione Veneto in risposta agli articoli de Il Fatto Quotidiano non corrisponde ai dati in nostro possesso, sottoposti alle Nazioni Unite e agli inquirenti. Ci spiace farlo il giorno prima del voto, ma ricordiamo che la settimana prima del Referendum per l’Autonomia 2018 le autorità in carica della Regione Veneto – per paura di perdere voti di fronte al fallimento sui Pfas – promisero i filtri Zero Pfas”. Seguono accuse gravi: “Sulla trasparenza e informazione bastano le conclusioni dell’Alto Commissariato dell’Onu, l’ingiunzione del Tar per mancanza di trasparenza, le assemblee non fatte, il silenzio dei sindaci e dei consultori familiari, la sofferenza delle future madri senza analisi”. C’è un secondo punto: “La Regione parla di ‘acqua potabile’ e ad uso per le ‘produzioni alimentari’ (acque di processo che si possono estrarre dagli acquedotti), ma in tutto il comunicato non si parla mai di ‘acque irrigue’. Se ne deduce – come è nei fatti – che non c’è nessun controllo/restrizione nei pozzi privati sulle acque di irrigazione da parte della Regione, anche nelle zone arancioni che sono sicuramente contaminate in falda. Si deduce che se un privato vuole impiantare un vigneto e pescare acqua contaminata è libero di farlo. Come sta accadendo. Complimenti”.
Contestano poi che in zona Arancione l’acqua degli acquedotti non sia stata contaminata, visto che “oggi si spendono centinaia di migliaia di euro – celebrati dalla politica un tempo negazionista come ‘medaglia al merito’ per la salute – per filtrare l’acqua, contaminata, come dimostrano le bollette che arrivano regolarmente a casa dei cittadini. Ogni giorno”. Infine, la sfida: “Se la Regione avesse la coscienza a posto e fosse un ente che promuove la prevenzione primaria farebbe una cosa semplicissima: permetterebbe a tutti (non solo a Trissino o a coorti preordinate) di farsi le analisi del sangue sui Pfas, anche a pagamento, come si fanno per tutte le altre analisi di prevenzione. Non lo fa. Forse è più produttivo produrre tumori e centri di assistenza secondaria che salute/prevenzione primaria”.