Prima o poi toccherà dirsi in faccia apertamente che tutti gli obiettivi di riduzione delle emissioni di cui si parla sono già bruciati. Secondo l‘Agenzia internazionale dell’Energia per avere qualche minima speranza bisognerebbe azzerare da subito qualsiasi nuovo investimento in gas e petrolio. I budget dei gruppi petroliferi prevedono invece esattamente l’opposto, investimenti per centinaia di miliardi nelle fonti fossili. Il 21 settembre Jamie Dimon, amministratore delegato di Jp Morgan, la più grande banca statunitense, ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero aumentare gli investimenti in gas e petrolio. Il consumo di petrolio non è previsto minimamente in calo nei prossimi anni. Banche e gruppi finanziari continuano a investire massicciamente nell’industria petrolifera. Diventa quindi cruciale fare credere il contrario.
Quella di attribuire ai consumatori finali, a tutti noi, la responsabilità dei cambiamenti climatici è una strategia comunicativa scientemente adottata, con successo, dalle compagnie petrolifere. Pioniera in questa operazione è stata British Petroleum in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Ogilvy & Mather. Cuore di questa campagna comunicativa è stata l’introduzione del termine “carbon footprint”, l’impronta di carbonio, ormai fatto proprio da tutte le istituzioni, a cominciare dalla Commissione Ue. Nel 2004 British Petroleum offre al pubblico il suo calcolatore di impronte di carbonio che ci dice quanto inquinano le nostre attività quotidiane. Il retro messaggio è che i responsabili del riscaldamento globale siamo noi e non l’industria del petrolio. Insomma, la risposta all’inquinamento globale è dentro di noi (ma è sbagliata). “Si tratta di una delle campagne di pubbliche relazioni più fuorvianti e di maggior successo di sempre”, ha affermato Benjamin Franta, docente di diritto e storia della scienza Stanford Law School, interpellato dal sito Mashable.
Non che i comportamenti individuali non abbiano importanza, e su questa ovvietà si basa il successo della campagna, ma in questo caso l’appello alla responsabilità individuale serve a distogliere l’attenzione da quello delle compagnie. Nel frattempo British Petroleum si è resa protagonista di uno dei più grandi disastri ambientali di sempre, l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon del 2010, 11 vittime e mezzo miliardo di litri di greggio riversati nel Golfo del Messico, ma continua a spiegarci che dobbiamo essere più attenti all’ambiente,
Naturalmente tutti i i big del settore si sono felicemente accodati alla tecnica della compagnia inglese, a cominciare dalla statunitense Exxon, dalla britannica Shell e dalla nostra Eni. È uno dei tasselli chiave della più ampia strategia di greenwashing, la ripulitura verde, ossia il tentativo di fare credere che queste compagnie stiano adottando strategie a difesa dell’ambiente quando in realtà fanno esattamente l’opposto o lo fanno in misura molto ridotta rispetto a quanto dichiarato. Secondo un’analisi del centro studi indipendente InfluenceMap, diffuso pochi giorni fa, il 60% delle pubblicità delle 5 principali compagnie petrolifere contiene messaggi di attenzione al clima mentre appena il 10% dei loro fondi è destinato alla riduzione dei gas nocivi. Shell, Chervron, ExxonMobil e la francese TotalEnergies aumenteranno anzi la produzione di petrolio nei prossimi 5 anni.
Una recente indagine di Greenpeace mostra come il 63% dei messaggi delle prime sei compagnie petrolifere d’Europa contiene informazioni fuorvianti, afferma cose false o indica soluzioni inefficaci all’emergenza climatica. Tra le compagnie più spregiudicate spicca la finlandese Fortum che, tra l’altro, controlla il gruppo tedesco Uniper che sta per essere salvato dalla bancarotta dal governo tedesco. Il rapporto dedica un approfondimento anche all’italiana Eni, posseduta al 30% dallo Stato, sottolineando come il suo piano industriale preveda una neutralità carbonica (saldo zero tra Co2 emessa e recuperata, ndr) entro il 2050, traguardo che non è compatibile con l’obiettivo di contenere entro gli 1,5 gradi centigradi l’aumento della temperatura globale. Inoltre, in base al piano 2021-2024, risulta evidente con l’intenzione di Eni sia di aumentare produzione e vendita di gas e petrolio.