Diritti

Perché con Giorgia Meloni l’Italia dei diritti rischia di allontanarsi dall’Europa

Come previsto è una di quelle mattine sulle quali la risposta alla domanda “come stai?” è gravata da un miscuglio di attonimento, preoccupazione e stanchezza.

“Se siete giovani fate le valigie”, scrive un’attempata amica femminista sul suo profilo; “Che triste risultato abbiamo avuto. Per la prima volta non sono felice per la vittoria di una donna”, commenta un’altra, più giovane, di origini magrebine e con alle spalle simpatie moderate; “Nulla di inaspettato, ma lo sconforto è assoluto” messaggia un’altra ancora, attivista lesbica. Sarà così per giorni: un lento diluvio di emozioni negative, aspettando di capire come si configura il nuovo governo, il primo dal 1946 guidato da una donna, su cui la Cnn ha evocato senza mezzi termini il fascismo, dando conto dei primi risultati: “Giorgia Meloni si avvia a essere la prima ministra italiana più di destra dai tempi di Mussolini.” Lapidario, realistico, inesorabilmente concreto.

Ma cosa c’è che pesa così tanto, in Italia, nella impressionante ascesa di Giorgia Meloni, creatrice di Fratelli d’Italia, unico partito a direzione femminile che ha nel nome l’evidente esclusione del sesso di chi lo guida a favore dell’invincibile neutro maschile e la fiamma tricolore ereditata dal Movimento sociale di Almirante e Rauti, la cui figlia siederà nel nuovo Parlamento?

Colpisce che la forza e la determinazione di una donna, in Italia, vengano riconosciute e sostenute a destra e nel paese ma meno, molto meno, a sinistra. Sinistra che, come scrive in modo tagliente e solo apparentemente paradossale Ritanna Armeni, penna e cervello sottile che della sinistra di opposizione e di governo conosce bene debolezze e virtù: “E’ maggioranza. Se sommate i voti della sinistra, tutta, senza settarismi, ve ne renderete conto. Il punto è che non c’è una politica di sinistra. Non ci sono donne, uomini, organizzazioni, partiti capaci di proposte, mediazioni, compromessi, di diffondere speranze, suggerire novità, di accettare dibattito e contrapposizione, di fare delle differenze il terreno fertile di una nuova proposta. La sinistra ha solo uomini con il mito dell’eroe e donne che forniscono certezze a quel mito. Non conosce l’umiltà, solo la disperazione. Oggi piange perché non sa fare altro di fronte alle difficoltà. Bambini travestiti da adulti. E senza nessuna innocenza”.

Ilaria Cucchi, per ora unica buona notizia in questo naufragio, entra in Parlamento dopo una tragedia personale che ha trasformato con tenacia e coraggio in lotta per la giustizia collettiva, ma non perché abbia fatto politica da sempre, mentre una veterana della politica come Emma Bonino, che in molte avremmo voluto vedere alla Presidenza della Repubblica, non ci sarà. Ci saranno, al suo posto, la già citata Rauti, l’inossidabile Santanchè e la silenziosa giovane Marta Fascina, consorte di Berlusconi, Nosferatu che torna in Parlamento dopo le note vicende che il mondo ci invidia.

Il tema non è quello generazionale: il ricambio, in politica così come in ogni ambito, è auspicabile, fisiologico e giusto: ma – ha ricordato la docente e studiosa Francesca Sensini – come insegnavano i Greci Mnemosine, la dea della memoria, è madre di tutte le Muse: senza di essa nessun’altra arte conoscenza e pensiero sono possibili. Tra tutte le discipline è proprio la politica quella che più delle altre si deve nutrire di memoria, intesa come percorso, storia ed eredità. Se è vero che dal punto di vista economico la destra dovrà, obtorto collo, seguire le regole europee per non perdere la terza tranche di denaro per la realizzazione del Pnrr, è altrettanto vero che avrà maggiore mano libera sul versante dei diritti e della cultura, che sono elementi fondativi della democrazia. Su questo fronte il rischio annunciato di ignorare Mnemosine è fortissimo.

Una Italia nella quale si profila il blocco dell’attuazione della legge 194, dell’approvazione dello ius scholae, del matrimonio egualitario, l’inasprimento delle misure contro l’accoglienza di richiedenti asilo, la censura sul diritto alla scelta di porre fine alla propria vita quando la sofferenza è intollerabile e quella sulle droghe leggere è una Italia che non solo si pone come molto vicina al modello del regime dell’Ungheria, ma che si allontana dalla prospettiva europea, riportando indietro in modo inquietante le lancette dell’orologio della storia contemporanea.