Eccolo, immancabile, il pagellone sulle elezioni politiche:

Fratelli d’Italia/ voto 9
Indiscutibilmente i vincitori di questa tornata elettorale. Il partito di destra passa da 1.429.550 del 2018 ai 7.235.984 votanti del 2022. Giorgia Meloni sarà con tutta probabilità la prima donna Premier nella storia d’Italia, per volontà popolare e non per vicende di palazzo (come tutti gli ultimi primi ministri). Rischia però di essere il premier più ostile ai diritti delle donne, vista l’attitudine mostrata finora e l’esempio dei suoi sodali oltre confine. Ha giocato la sua partita perfetta, non muovendo nessuna pedina. La sua strategia è stata quella di incassare sulla posizione consolidata nel tempo facendo poco o niente. Come lei stesso ha ammesso nella conferenza stampa ha solamente aspettato che gli italiani la capissero. Un immobilismo che ha pagato insieme alla sua coerente e perenne decisione di stare all’opposizione, senza quegli oneri di governo che gli alleati di destra hanno pagato.

Fa parte dei conservatori europei, una destra estrema ma non estremissima come quella di Le Pen. All’estero è vista con estrema diffidenza, come una nostalgica del fascismo amica di dittatori o aspiranti tali. Molti scrivono che sarà il governo più a destra dai tempi di Mussolini (che Giorgia tanto fatica a rinnegare) e hanno ragione. Di certo preoccupa sul piano dei diritti civili, meno su altre cose, dove si adatterà allo status quo e agli impegni per sopravvivere a Palazzo Chigi più a lungo possibile, suo reale obiettivo.

Ha promesso varie cose, è stata votata dal popolo e il Popolo avrà la possibilità di valutare e giudicare bene, senza sconti, il suo operato.

Partito Democratico / voto 3
Dal 2018, considerato un disastro con 6.161.896 di voti, riesce a peggiorarsi con i 5.343.030 di voti di quest’anno. Poche idee e tutte molto confuse. Paternità di una legge elettorale orribile, ricerca di accozzaglie del tutto incompatibili tra loro, una campagna basata solo sul fatto che la destra fa schifo (sembrava comunicare “loro fanno ancora più schifo, quindi votate noi che siamo meno peggio”), il tutto condito da una lontananza abissale dai cittadini. Il gentleman Letta non è uomo di piazza e neanche di comunicazione. Eredita un Pd già eroso da Renzi che non riesce a proporre una minima idea di sinistra. Letta non ha azzeccato niente di questa campagna, dall’agenda Draghi alla demonizzazione di fratelli d’Italia, ha inseguito la destra su un frame che non è il suo con un linguaggio che non è da sinistra. La tragicomica delle alleanze è un elemento chiave della sua sconfitta.

Lasciare il Movimento 5 stelle per abbracciare l’agenda Draghi è stato il momento fatale. Sbeffeggiato da Calenda, con cui voleva fare l’asse liberal-democratico, ha fatto una coalizione senza alcun senso logico in cui si andava da Bonino, Casini, Tabacci e Di Maio, a Bonelli e Fratoianni, due che insieme sono riusciti a dimezzarsi i voti a vicenda. Fanno parte dei socialisti europei ma di sinistra non fanno niente, a parte mettere tasse e occupare posizioni pubbliche. Rischia di lasciare al M5s anche il ruolo di opposizione e rappresentanza del campo progressista italiano.

Suonano inesorabili le campane di dimissioni per il buon Enrico. Che sia l’ora di un cambio radicali alla guida dei socialdemocratici, magari con una virata seria a sinistra guidata da Elly Schlein?

Movimento 5 stelle / voto 7
Se leggiamo i numeri assoluti il dato sarebbe negativo, con un crollo dai 10.732.066 di voti del 2018 a 4.264.060 di voti nel 2022.
Ma la realtà è che lo davano tutti per morto e Conte è stato bravo a rilanciarlo. Sei mesi fa secondo qualche analista il Movimento di Giuseppe Conte sarebbe andato all’8%, per altri addirittura verso il 5%. Imbrigliato nel governo Draghi, Conte è riuscito a tenere il timone in un mare in tempesta e a modellare la creatura a sua immagine e somiglianza. Un Movimento che fino a qualche mese fa era ingessato e tenuto in scacco da guerre interne e dalla corrente draghiana e poltronista guidata da Di Maio. Liberandosi contemporaneamente dell’abbraccio mortale del Pd, del sostegno a Draghi e di parecchie zavorre (non tutte purtroppo), ha interrotto la parabola discendente. Si candida a credibile leader dell’opposizione e ad alternativa alla destra, davanti al Pd.

Resta ancora da definire una collocazione internazionale, che dopo tanti anni ancora manca (ambientalista, progressista, per la giustizia sociale?). Una campagna quella condotta da Conte senza sbavature. In modo tenace e con apprezzamento popolare, Conte si è messo il Movimento sulle spalle e si è preso un 15,5% caratterizzato dalla lotta alle mafie, l’attenzione per l’ambiente e dalla voglia di giustizia sociale. Ha chiuso la storia del movimento precedente (sono pochi i soggetti imbarazzanti che si sono salvati sulla sua nave), salvato il brand e ha ancora margini di crescita importanti.

Lega/voto 2
Questa volta Salvini rischia di essere al capolinea. Passa da 5.691.921 milioni di voti del 2018 ai 2.461.571 del 2022 . La sua segreteria scricchiola anche se dalle loro parti si fa più fatica a cambiare. Il fantasma di Zaia e Fedriga stazionano su via Bellerio. Il capitano dal Mojito del papeete non ne ha più azzeccata una ed è in caduta libera. Salvini è riuscito nell’intento di trasformare una forza politica del nord a partito nazionale e con la stessa velocità è riuscito a riportarlo ai numeri delle sue origini, privandolo però della identità che li contraddistingueva. Un 8,9% che sembra essere l’anticamera per un ulteriore calo. In Veneto e Lombardia la Lega è stata soppiantata da una parte da fratelli d’Italia e dall’altra da Calenda, che ha fatto breccia sulla classe imprenditoriale. Un’alleanza quella con Fratelli d’Italia e Forza Italia basata solo sulla spartizione delle poltrone, unica nota positiva di questa campagna della Lega. Infatti nonostante il crollo mantiene un numero di seggi molto superiore al risultato elettorale, grazie alla ripartizione dei seggi uninominali nel centrodestra.

Forza Italia/ voto 6
Passa da 4.590.774 voti del 2018 a 2.274.943 voti. Se avesse sorpassato Salvini avrebbe meritato un voto più alto. Il tramonto di Forza Italia, legato a quello del suo leader, è rimandato, per ora si conferma importante e il suo cruciale in questa legislatura. Berlusconi, seppur abbandonato da alcuni suoi volti storici (Brunetta, Carfagna, Gelmini), si è rimboccato le maniche, si è lanciato su Tik Tok ed è riuscito a tornare in Parlamento dopo un’assenza quasi decennale. Avrà il delicato compito (insieme a Mattarella) di mantenere il prossimo governo dentro la comunità internazionale di cui l’Italia fa parte.

Paradossalmente Forza Italia, che in passato suscitava ilarità all’estero, per le note performance di Berlusconi, in quanto parte del partito popolare europeo (lo stesso partito di Von Der leyen, in maggioranza relativa in UE) diventa il vero anello fondamentale per la credibilità internazionale del prossimo governo.

Azione & Italia Viva/ voto 4,5
Volevano essere il terzo polo e fungere da ago della bilancia. Al massimo sono il quarto e non hanno alcun peso su possibili maggioranze. Se Renzi e Calenda non cominceranno a litigare il giorno dopo (cosa assai probabile) possono però dire di essere parzialmente riusciti a creare un polo liberale in Italia. Non hanno però scalzato Forza Italia, da cui avevano acquisito noti rappresentanti, che occupa elettorato simile e ha retto sugli stessi numeri.

Hanno sposato il dogma della fantomatica “agenda Draghi” e hanno condotto una campagna elettorale da “partito dei Ricchi italiani”, sbeffeggiando qualsiasi misura a favore di classi disagiate e ambiente. Attinge più all’elettorato del Pd (33% dei nuovi voti sono targati Pd) che a destra. L’obiettivo minimo dichiarato era il 10%, i sondaggi chiacchierati ad aprile che lo davano addirittura al 15% hanno avuto la stessa attendibilità degli studi pro nucleare presenti nel suo programma presentati da esperti (classificati come segreto di stato) dalla dubbia attendibilità.

Calenda perde pure il suo seggio all’uninominale, doppiato dalla sua ex alleata Bonino, rimasta sotto l’ombrello del Pd. Renzi nel frattempo è volato in Giappone lasciando a Carletto l’onore di spiegare i risultati. Chissà se questo polo liberale reggerà.

Sinistra & Verdi/ voto 3,5
Fratoianni e Bonelli, in una operazione utile ad ottenere qualche seggio per loro, si sono presentati insieme, con una sola lista, nella coalizione a guida Pd. Una coalizione in cui c’era tutto il contrario di quel che dicevano loro. Entrambi i partiti (verdi e sinistra), forti di una identità piuttosto chiara (diversa tra loro) e di un elettorato storico, potevano pensare di partire da una quota superiore al 3% a testa ed ottenere almeno un 5/6%. Facendo le liste insieme hanno invece preso il 3,5%. Difficile comprendere in che modo può essere ripartito tra i due il 3,5% ma il dato certamente assesta l’irrilevanza de facto (sotto il 2% a testa) dei partiti italiani appartenenti alle famiglie politiche internazionali della sinistra e degli ambientalisti. Partiti di cui una democrazia sana avrebbe bisogno.

Giustizia Sociale, Ambiente e diritti sono tre temi che porterebbero qualsiasi partito ad avere almeno il 10%. Quando un partito, anzi due, reclamano la migliore offerta e si autoproclamano unica forza politica credibile e alternativa, vuol dire che qualcosa non quadra. Il 3,5% totale non è altro che il dimezzamento complessivo di entrambi i partiti che si attestavano entrambi tra il 2% e il 4%. In Italia non c’è effetto Melenchon e neanche “onda verde”. Ed è un peccato.

Di Maio con Impegno Civico / voto 0
Il vero fenomeno di questa elezione. Dopo 4 anni e mezzo ininterrotti da ministro pensava di essere un grosso leader politico e di valere da solo il 10%. Ha mollato il m5s, che non gli aveva assicurato il terzo mandato e poltrone a vita, portandosi dietro una pletora di parlamentari, ex ministri e sottosegretari a cui non è dato sapere cosa abbia promesso. Si è messo nelle sapienti mani di Bruno Tabacci (rieletto, così come Casini), con la garanzia di poter agire spavaldo in virtù della protezione di Draghi e del Pd, grati del suo lavoro di distruzione del M5s durante la legislatura. Non si è candidato nel suo collegio, quello di Pomigliano, perché sapeva di perdere e ha quindi chiesto ed ottenuto dal Pd un collegio più facile.

Come un dino giarrusso qualunque (uno dei vari saltati sul carro M5s, uscito sbraitando contro Conte perché non lo faceva candidare in Regione siciliana, che ha poi dichiarato in pompa magna che avrebbe conquistato la Sicilia e l’Italia intera insieme al destrorso Cateno De Luca, e che dopo qualche giorno ci si è lanciato gli stracci ed è rimasto al palo) è riuscito nell’impresa di perdere il seggio del Pd facendosi doppiare dal candidato del M5s (l’ottimo Sergio Costa).

Il suo partito ha avuto lo zerovirgola e non ha neanche contribuito alla coalizione (ci voleva 1% per la legge elettorale). In pratica non solo ha dimostrato di avere più o meno gli stessi voti presi alle Cliccarie nel 2013 per lanciare la sua carriera politica (qualche decina di click), ma anche di fare perdere al Pd i voti che pensava di avere. Piuttosto che tornare all’università, finire gli esami e iniziare una onesta carriera lavorativa, è assai probabile che cercherà strade più remunerative e semplici, attraverso ricche nomine di ringraziamento, per lui e per qualche suo sodale, tra le partecipate, le fondazioni e le società di Stato. Sarà interessante osservare il suo percorso per capire alcune cose che sono successe e che succedono in questo Stato.

Di Battista / senza voto
Ha un capitale politico importante e dovrebbe, insieme ad altri, tornare in campo stimolando il voto di molti astenuti. Forse avrebbe potuto farlo già in questa occasione, proponendo delle cose diverse dagli altri partiti e cercando un canale di comunicazione privilegiato con la compagine di De Magistris e con il M5s di Conte. Non è mai troppo tardi ma neanche il tempo è infinito.

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