La sonda spaziale Dart della Nasa si è scontrata intenzionalmente contro l’asteroide Dimorphos. Si trattava di una missione per testare la nostra capacità di difenderci da oggetti potenzialmente pericolosi per la Terra
La prima missione di difesa planetaria è diventata realtà, anche se di fatto era una esercitazione per il futuro. Per testare la nostra capacità, se fosse necessario, di deviare un oggetto cosmico diretto verso la Terra. E così la notte scorsa la sonda spaziale Dart della Nasa si è scontrata intenzionalmente contro l’asteroide Dimorphos per alterarne la traiettoria. Il Double Asteroid Redirection Test (Dart) è stata infatti la prima missione a tentare di allontanare un oggetto pericoloso per mezzo di un esperimento diretto, secondo quanto ha spiegato il direttore della missione spaziale Thomas Zurbuchen. La Nasa ha trasmesso in live streaming l’approccio della sonda senza pilota mentre si avvicinava sempre di più all’asteroide.
L’impatto galattico ha riguardato un innocuo asteroide a 9,6 milioni di chilometri di distanza, con il veicolo spaziale che si è abbattuto nella roccia spaziale a 14.000 mph (22.500 km/h). Gli scienziati si aspettavano che l’impatto avrebbe scavato un cratere, scagliato flussi di rocce e sporcizia nello spazio e, soprattutto, avrebbe alterato l’orbita dell’asteroide. Telescopi in giro per il mondo e nello spazio puntati nello stesso punto del cielo per catturare l’evento. Sebbene l’impatto sia stato evidente il segnale radio di Dart è cessato bruscamente_ ci vorranno giorni o addirittura settimane per determinare di quanto sia cambiato il percorso dell’asteroide.
La missione da 325 milioni di dollari è stato il primo tentativo di spostare la posizione di un asteroide o di qualsiasi altro oggetto naturale nello spazio. L’amministratore dell’Agenzia spaziale Usa, Bill Nelson, ha scritto su Twitter “No, questa non è la trama di un film. L’abbiamo visto tutti in film come Armageddon, ma la posta in gioco nella vita reale è alta”. Obiettivo di lunedì: un asteroide di 160 metri chiamato Dimorphos. In realtà è una luna di Didymos, in greco gemello, un asteroide cinque volte più grande che gira veloce e che è stato lanciato via dal materiale che ha formato il giovane partner. La coppia ha un’orbita attorno al Sole che non minaccia la Terra, il che li rende candidati ideali per salvare il mondo. Lanciato lo scorso novembre, il Dart delle dimensioni di un distributore automatico ha raggiunto il suo obiettivo utilizzando la nuova tecnologia sviluppata dall’Applied Physics Laboratory della Johns Hopkins University, il costruttore di veicoli spaziali e il responsabile della missione. La telecamera di bordo di Dart, una parte fondamentale di questo sistema di navigazione intelligente, ha avvistato Dimorphos appena un’ora prima dell’impatto.
Nella missione ha una parte anche l’Italia. Sono arrivate dal minisatellite italiano LiciaCube le prime immagini del punto in cui l’asteroide Dimorphos è stato colpito. Le immagini sono in via di processamento e saranno visibili in giornata. “Abbiamo scaricato quattro immagini, tutte molto interessanti. L’entusiasmo è alle stelle”, ha detto all’Ansa Simone Pirrotta, responsabile della missione LiciaCube per l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). Gestita e coordinata dall’Asi e realizzato dall’azienda Argotec, LiciaCube è la prima missione tutta italiana attiva nello spazio profondo, a 13 milioni di chilometri dalla Terra. L’acquisizione delle immagini “è il più importante ritorno previsto dalla nostra missione”, ha detto ancora Pirrotta, che sta seguendo la missione dal Centro di controllo a Torino. È infatti “il segno evidente che la traiettoria è stata quasi esattamente quella prevista, che il sistema di puntamento ha lavorato bene e che le fotocamere hanno acquisito le foto previste”, ha aggiunto. “È anche il frutto del lavoro di una bella squadra: per cinque anni ci siamo sentiti quasi ogni giorno”, ha osservato riferendosi al gruppo di lavoro che ha partecipato alla missione italiana e del quale, con Asi e Argotec, fanno parte Istituto Nazionale di Astrofisica, Politecnico di Milano, Università di Bologna, Università Parthenope di Napoli e Istituto di Fisica Applicata ‘Nello Carrara’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ifac).