La grande vittoria contro l’Inghilterra. Il trionfo in casa della temibile Ungheria di Orban. Il primo posto nel girone e la final-four di Nations League da giocarsi il prossimo giugno in Olanda. Tutto fumo negli occhi: l’Italia vince in un torneo che gli altri che andranno in Qatar snobbano. Dallo scorso marzo non è cambiato proprio niente, siamo ancora la nazionale di un movimento fallito che per la seconda edizione di fila non è riuscita nemmeno a qualificarsi ai Mondiali. Il nuovo ciclo di Roberto Mancini è, faticosamente, ripartito. Non era scontato dopo la disfatta epocale contro la Macedonia del Nord. Il ct sembra essere riuscito a resettare la sua testa e quella dei calciatori, restituendo un briciolo di identità di squadra che si era completamente smarrita dopo gli Europei (fino ad arrivare all’epilogo di Palermo). Di questo gli va dato merito. Come certo non gli si può fare una colpa se i successi di questa finestra siano arrivati “solo” nella marginale Nations League. Era il trofeo che avevano a disposizione in questo momento. L’unico, purtroppo. Snobbarlo non avrebbe avuto senso, e anzi sarebbe stato imperdonabile, la classica goccia che fa traboccare il vaso dopo la figuraccia mondiale e probabilmente la pietra tombale sulla gestione Mancini. Giusto, dunque, affrontarla al massimo delle proprie possibilità.

Detto questo, non bisogna nemmeno distorcere la realtà e celebrare queste due vittorie come se contassero qualcosa. Anche qui, in realtà, la colpa non è di Mancini che ha mantenuto un bassissimo profilo (e ci mancherebbe altro) quanto di commentatori, tifosi, la solita retorica che circonda la nazionale. Ma i risultati contro Inghilterra e Ungheria vanno presi per quello che contano: nulla. Già in condizioni normali la Nations League è un’esibizione ben organizzata, una buona trovata della Uefa di Ceferin per sostituire le amichevoli creando un prodotto appetibile per i diritti tv, ma con zero valore sportivo. Figuriamoci ora, che tutte le nazionali migliori (e le loro stelle) hanno la testa al Mondiale: come dimostrano anche i risultati degli altri campi (la Francia battuta in Danimarca, la Spagna in casa dalla Svizzera, la Germania proprio dall’Ungheria), questa sosta è servita più che altro a fare gli ultimi esperimenti in vista del Qatar ed evitare danni. E in questo contesto l’Italia ha battuto una big svagata e per giunta in crisi (Southgate sembra aver perso di mano l’Inghilterra) e una piccola squadra di terza/quarta fascia europea. Certo, sempre meglio di non riuscire a fare un gol a Svizzera, Irlanda del Nord e Macedonia, ma tant’è.

Al netto poi di qualche segnale incoraggiante di compattezza tattica e buona volontà, i due risultati positivi hanno comunque confermato tutti i limiti della nazionale azzurra, che con l’Inghilterra non ha certo fornito uno spettacolo esaltante, e contro l’Ungheria è stata salvata da Donnarumma. L’assenza drammatica di un centravanti degno di questo nome, una certa disaffezione da parte di alcuni giocatori, i buchi in ruoli chiave e la mancanza diffusa di talento. I problemi sono sempre gli stessi e la Serie A, che dovrebbe essere il bacino della nazionale, continua a non fornire alcuna risposta. L’unico contributo à che quest’inizio di campionato è riuscito a portare è stato Pasquale Mazzocchi: un terzino di 27 anni, anche una bella storia umana e di calcio ma non certo la svolta che cambierà le sorti della squadra. Per il resto non si vede quasi nulla nemmeno all’orizzonte, e lo stesso Raspadori, a cui l’Italia si è aggrappata e ha affidato addirittura il glorioso numero 10, è ancora più una creatura del ct, che ha convocato tutto il convocabile negli ultimi mesi, che del campionato (dove gioca a spezzoni con la maglia del Napoli). La fase acuta della crisi forse è passata, ma quella cronica è ancora tutta lì. Per dimenticarsi la realtà non basteranno un paio di successi in partite poco più che amichevoli. Ce la ricorderanno invece i Mondiali, da guardare come spettatori.

Twitter: @lVendemiale

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