L'ex renziano in uno dei processi è accusato di avere promesso utilità in cambio di voti mentre era a colloquio con il boss Girolamo Lucio Brancato (ma è caduta l’aggravante mafiosa). A rubargli lo scettro di più votato è Edi Tamajo: candidato di Forza Italia anche lui è stato indagato per corruzione elettorale ma - nel suo caso - le accuse sono state archiviate
Ha due processi a suo carico per corruzione elettorale ma fa lo stesso il pieno di voti, incassando nella sua Catania 20.931 preferenze. È Luca Sammartino l’ormai storico recordman siciliano, che al suo attivo ha un primato assoluto: quando era candidato con il Pd, nel 2017, il tabellone elettorale segnò 32.299, il più alto numero di voti nella storia dell’Assemblea siciliana. Nel frattempo Sammartino è passato con Renzi in Italia viva per poi lasciare per strada il senatore di Rignano e abbracciare Matteo Salvini, sotto l’effige di Prima l’Italia, il simbolo usato dalla Lega in Sicilia. Nel frattempo soprattutto, il catanese neoleghista è stato rinviato a giudizio ben due volte. Entrambe per corruzione elettorale. Tutti e due i processi sono ancora solo alle battute iniziali, ritardati da alcuni difetti di notifica.
Ma perché il recordman di preferenze catanese è a processo per ben due volte? In un caso il consigliere regionale è accusato di avere garantito assunzioni in aziende e raccomandazioni per trasferimenti o promozioni (mentre è stata archiviata la parte di indagine relativa ai voti nella clinica per anziani). Nel secondo processo, invece, Sammartino è accusato di corruzione elettorale per avere promesso – questa l’ipotesi dell’accusa – utilità in cambio di voti mentre era a colloquio con il boss Girolamo Lucio Brancato, ritenuto esponente di spicco del clan dei Laudani. Le indagini della procura avevano portato all’intercettazione, attraverso delle cimici, di una conversazione tra il politico della Lega e Brancato. Va a processo però solo per corruzione elettorale, ovvero senza l’aggravante mafiosa.
Ma stavolta non è Sammartino il più votato in Sicilia. A rubargli lo scettro c’è Edi Tamajo che ottiene 21.473 voti, risultando così il nuovo recordman di preferenze siculo. Alla sua prima elezione in Forza Italia, dove è transitato dopo un passaggio da Sicilia Vera a Italia Viva nell’autunno del 2019, Tamajo ha poi deciso di abbracciare il partito di Micciché, dove è sbarcato già dalle scorse comunali, quando aveva fatto incassare ai forzisti il record di primo partito in città: 4 dei 7 consiglierei eletti lo scorso giugno in consiglio comunale a Palermo per Forza Italia erano tutti Tamajo boys, compreso il consigliere in assoluto più votato, Ottavio Zacco. Un risultato così schiacciante che adesso il padre di Edi, Aristide Tamajo, è assessore all’Istruzione nella giunta del sindaco Roberto Lagalla. Ma con l’elezione all’Assemblea regionale ecco arrivare il salto di quantità per il figlio Edi, che già nel 2017 fu il più votato a Palermo, con 13.984 preferenze. Pochi giorni dopo l’elezione però fu indagato per corruzione elettorale, un’indagine che, tuttavia, non portò a nulla: le accuse furono archiviate. Le motivazioni dell’archiviazione parlavano di un indubbio “beneficio” elettorale da parte di chi chiedeva il voto a suo nome, ma secondo il giudice per le indagini preliminari, Filippo Lo Presti, “non vi sono elementi sufficienti per affermare che lo stesso abbia apportato un qualsivoglia contributo causale consapevole alla realizzazione del reato di corruzione elettorale”.
Nel frattempo il re di Mondello-Partanna, il quartiere dove spopola, ha aumentato il consenso, ottenendo, cinque anni dopo le accuse poi archiviate, 7.489 voti in più. Un bel risultato che lascia indietro l’ormai ex leader del consenso siculo Sammartino. Nulla di fatto, invece, per il partito in cui sia Tamajo che Sammartino avevano militato: Italia Viva non ha raggiunto il quorum e non entra quindi in Assemblea. Riduce le sue preferenze, invece, Luigi Genovese, figlio di Francantonio, il deputato condannato a 6 anni e 8 mesi in via definitiva per lo scandalo sulla Formazione professionale. Dopo l’arresto del padre, lo scettro elettorale era infatti ricaduto sul figlio, Luigi, che nel 2017, appena 21enne, ottenne 17.359. I Genovese erano da poco approdati in Forza Italia in transito dal Partito democratico. Candidato stavolta per gli Autonomisti di Raffaele Lombardo, Genovese junior ottiene solo 9.229 voti, non un cattivo risultato ma poco a confronto col passato dorato, quando il padre Francantonio fu ribattezzato “Mister ventimila preferenze”. Nulla di fatto, invece, per gli ex M5s, i consiglieri che nella scorsa legislatura abbandonarono l’effige stellata per costituire prima il gruppo Attiva Sicilia e poi confluire in Diventerà bellissima, il movimento di Nello Musumeci. Non raggiungono quota utile per l’elezione: a restare fuori pure Elena Pagana, moglie di Ruggero Razza, l’ex assessore alla Salute, ormai noto per lo scandalo sui dati covid “spalmati”. Mentre a sorpresa compare come il più votato nella lista del Pd a Messina Calogero Leanza, figlio di Vincenzo, ex presidente della Regione e plenipotenziario delle tessere di partito e dei consensi prima nella Dc e poi in Fi, il figlio batte tutti gli altri candidati dem della sua lista, incassando 4.379 voti, raccolti soprattutto sui Nebrodi dov’è di casa a San Teodoro. Buono, invece il risultato della Nuova Democrazia Cristiana di Cuffaro, che sia ad Agrigento che a Ragusa supera il 12 per cento fiancheggiando gli altri partiti di centrodestra, va sotto la soglia minima solo in due province, una in meno della Lega che a Caltanissetta, Enna e Palermo resta sotto il 5 per cento.
Porta finalmente una donna all’Ars il Partito democratico (nella scorsa legislatura il gruppo del Pd era formato solo da uomini): Valentina Chinnici raggiunge lo scranno all’Ars con 6.947 voti, risultando la più votata nella lista del Pd a Palermo. Non raggiunge la soglia del 5 per cento, Claudio Fava che così dice addio alla politica, con un post molto amaro: “Mi fermo senza ripianti – prosegue – né recriminazioni. Molto si potrebbe dire e scrivere (e forse, non qui, lo farò) su questa campagna elettorale noiosa e reticente, sulle scelleratezze di un Partito Democratico che in Sicilia preferisce sempre perdere pur di non rinunciare ai propri minuscoli califfati, su una candidata alla presidenza votata al silenzio (non spendere una sola parola sulle macerie ereditate si chiama silenzio, non ‘sobrietà istituzionale’)”. Ma non è l’elezione mancata a spingerlo verso l’addio: “È la vita che mi sollecita altro, e io le voglio offrire altro. C’entra anche, lo dico per onestà, il mio rapporto faticoso con questa terra”. Riservano alcune soprese le percentuali ottenute dai partiti in Sicilia se si paragonano le due elezioni: le politiche e le regionali. Nelle prime non era, infatti, concesso il voto disgiunto. Si abbassano, dunque, le percentuali di preferenze per i partiti per il voto regionale, lì cioè dove era consentito votare in maniera disgiunta. Così che Partito democratico che non raggiunge il 20 per cento alle politiche arriva addirittura al 24 ad Enna, nel regno cioè del ras di consensi storico del Pd, Vladimiro Crisafulli. Sono questi i numeri quando ancora lo spoglio non è del tutto terminato e non c’è un dato complessivo regionale ma bisogna andare a vedere provincia per provincia. Forza Italia supera, per esempio, il 20 per cento a Caltanissetta, mentre Fdi resta sempre sotto quella soglia, toccando la percentuale massima del 19,72 a Ragusa. La Lega supera l’11 per cento soltanto a Trapani dove incassa l’unico solido risultato di queste regionali, dopo il passaggio di Mimmo Turano dall’Udc alle file salviniane. Infine, mentre alle Politiche il M5s ha superato il 30 per cento, alle regionali il dato più alto è del 16,84 per cento.