di Antonio Carbonelli*

Un altro tassello si aggiunge al contrasto alla distruzione del diritto del lavoro provocata dalla teologia economica liberista. Con sette sentenze del luglio scorso, la corte di Cassazione ha smontato altrettante sentenze della corte d’appello di Brescia in tema di lavoro tramite agenzia interinale (come lo chiama la legislazione europea), o somministrazione di manodopera (come lo chiama la legislazione italiana). In tal modo la Suprema Corte italiana ha recepito i principi enunciati dalla corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) di Lussemburgo con due sentenze dell’ottobre 2020 e del marzo 2022.

Dov’è la novità?

Molto semplice: la Cassazione italiana si era spinta a dire che per l’impiego di lavoro tramite agenzia interinale non sarebbe richiesto il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva; alcuni altri giudici si erano spinti a dichiarare apertamente che sarebbe stata consentita la successione dei contratti tramite agenzia interinale senza soluzione di continuità, e senza alcun limite di tempo, legittimando in tal modo la precarizzazione ad vitam dei rapporti di lavoro. La Corte europea, invece, nel 2020 ha dichiarato che è necessario preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, ed evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della normativa comunitaria. A sottolineare l’importanza assegnata alla decisione, era entrato nel collegio giudicante il presidente dell’intera Corte: segno dell’importanza assegnata alla questione in sede comunitaria.

In particolare, sottolinea la Corte europea, missioni successive assegnate al medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice eludono l’essenza stessa delle disposizioni comunitarie e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto compromettono l’equilibrio tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima, e ciò in particolare quando in un caso concreto non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra a una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, a maggior ragione laddove a essere assegnato all’impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale.

Nel 2022 la Corte di Lussemburgo ha aggiunto inoltre che ciò che rileva sono le modalità della messa a disposizione di un lavoratore presso l’utilizzatore, che le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, e che occorre non privare il lavoratore ricorrente del diritto di far valere la durata totale della sua missione presso l’impresa utilizzatrice. La Cassazione italiana ha ora recepito tali principi e rinviato a nuovo esame in appello una serie di casi, rilevando che l’utilizzazione del medesimo lavoratore mediante agenzia interinale si può inserire entro un quadro complessivo di durata di utilizzo superiore a quello ammissibile alla luce di una interpretazione della normativa nazionale che possa definirsi conforme al diritto dell’Unione europea, tenuto conto che un’interpretazione conforme della normativa interna impone di verificare se, nel caso concreto, anche sulla base degli indici rivelatori indicati dalla Corte di giustizia, nonostante l’intervenuta decadenza dall’impugnazione del singolo contratto, il successivo e continuo invio mediante missioni del medesimo lavoratore possa condurre a un abusivo ricorso all’istituto della somministrazione.

Una vera e propria rivoluzione, una volta tanto in senso positivo, imposta all’Italia dall’Europa: rispetto agli orientamenti assunti in precedenza dalla giurisprudenza nazionale, in assenza di una normativa compiuta di recepimento della legislazione comunitaria. Restano aperte, ovviamente, alcune questioni ulteriori: a) in quali casi impugnare i rapporti tra lavoratore interinale e società di agenzia di lavoro interinale, invece che nei confronti dell’impresa utilizzatrice: il lavoratore, infatti, può non avere interesse a far valere i propri diritti verso un utilizzatore fallito o di dimensioni ridotte – b) la sorte dei rapporti già definiti con sentenza non impugnabile in modo non conforme al diritto dell’Unione: ad esempio, con un risarcimento a carico dello stato italiano – c) l’applicabilità dei principi europei alla somministrazione a tempo indeterminato, c.d. staff leasing, che alcuni vorrebbero escludere: ma le sentenze e la legislazione europea non contengono una parola che legittimi la distinzione – d) l’applicabilità dei principi citati anche ai rapporti costituiti dopo il decreto dignità del 2018, che pure alcuni vorrebbero escludere: ma la legislazione comunitaria si pone su un piano diverso, e anche ora sono possibili manovre elusive del diritto dell’Unione. La precarizzazione del lavoro, dunque, teorizzata per primo dall’economista Hicks nel 1989, è destinata a continuare a provocare problemi applicativi.

*Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia

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