Le emissioni globali delle case automobilistiche superano mediamente del 50% quelle dichiarate dai costruttori, con punte del 149%, 116% e 81% riscontrate rispettivamente presso Stellantis, Hyundai-Kia e BMW. È quanto sostiene lo studio ‘Oil companies in disguise (Compagnie petrolifere sotto mentite spoglie)’ di Transport & Environment e Legambiente, partendo dai dati sulle emissioni totali rese note dalle case automobilistiche, numeri “che sono – sostengono gli autori – il risultato di un calcolo che tiene conto di una serie di fattori come le dimensioni medie dei veicoli, il luogo in cui vengono guidati e la durata del loro ciclo di vita. Dati raccolti secondo criteri selettivi e discutibili, finalizzati a determinare numeri più bassi”. Così, nell’analisi, è stato ricalcolato l’impatto delle emissioni sull’intero ciclo di vita delle auto prodotte da nove top player del mercato. “Perché a differenza di altri prodotti, come un tavolo o un telefono cellulare, la stragrande maggioranza (98%) delle emissioni di un’auto – spiega a ilfattoquotidiano.it il direttore Finanza sostenibile di Transport & Environment, Luca Bonaccorsi – non deriva dalla sua produzione, ma dal suo utilizzo. Quindi va considerato l’intero ciclo di vita”. Emerge anche un altro aspetto, come si evince dal titolo stesso dello studio: in alcuni casi l’intensità di carbonio degli investimenti nelle aziende automobilistiche è finanche superiore a quella associata alle operazioni finanziarie nell’industria petrolifera. “Le case automobilistiche ingannano gli investitori sottostimando le emissioni prodotte durante il ciclo di vita delle loro auto e le agenzie di rating forniscono punteggi ESG (Environmental, Social and Governance) senza senso” commenta Bonaccorsi, secondo cui “gli investitori se ne renderanno conto presto e dovranno prendere provvedimenti”.
La bomba a orologeria – Di fatto, le emissioni calcolate sul ciclo di vita diventeranno presto cruciali: le nuove norme Ue sulla finanza verde entreranno in vigore nel 2023 e imporranno a questi fondi di rendere note le emissioni indirette nei loro portafogli. La vera intensità di carbonio delle case automobilistiche, dunque, sarà rivelata solo il prossimo anno, con il nuovo obbligo di divulgare le emissioni Scope 3, previsto sia dal Regolamento sulla Sustainable Finance Disclosure (SFDR) che dalla Direttiva Corporate Sustainability Reporting (CSRD). Le emissioni di gas a effetto serra, infatti, sono suddivise in tre gruppi (Scope) dallo strumento di contabilizzazione internazionale più diffuso, il Protocollo sui gas a effetto serra (GHG). Lo Scope 1 comprende le emissioni dirette da fonti di proprietà o controllate, lo Scope 2 comprende le emissioni indirette derivanti dalla generazione di elettricità, vapore, riscaldamento e raffreddamento acquistati e consumati dall’azienda dichiarante e lo Scope 3 comprende tutte le altre emissioni indirette che si verificano nella catena del valore di un’azienda. Questo nuovo obbligo, secondo gli autori dello studio, si rivelerà “una bomba a orologeria” per i fondi di investimento e le società finanziarie che puntano sul settore.
Quel gap con le emissioni dichiarate – “Stellantis è una delle case peggiori per impatto globale per ogni auto prodotta (ben 62 tonnellate di CO2), a causa dei tanti, troppi fuoristrada venduti soprattutto in America” spiega Andrea Poggio, Responsabile Mobilità Sostenibile di Legambiente. “Si tratta di auto grandi e pesanti che producono nella loro vita – aggiunge – decine di volte il loro peso in gas di scarico inquinanti per la salute e il clima. Il futuro è la mobilità elettrica collettiva e dei veicoli elettrici leggeri come ebike e quadricicli”. Nella lista, dopo Hunday-Kia e BMW (che stima le emissioni medie dei suoi veicoli ipotizzando che percorrano non più di 150mila chilometri nel corso della loro esistenza), ci sono anche Toyota le cui emissioni, stando allo studio, superano del 69% quelle dichiarate, seguita da Mercedes (62%), il gruppo Renault-Nissan-Mitsubishi (al 61%) e Volkswagen (al 58%).
L’intensità di carbonio degli investimenti – Nello studio, inoltre, si mettono a confronto le emissioni dichiarate dalle case automobilistiche e da alcune compagnie dell’oil&gas. In alcuni casi l’intensità di carbonio degli investimenti nelle aziende automobilistiche è persino superiore a quella associata alle operazioni finanziarie nell’industria petrolifera. Ai prezzi odierni, per esempio, un milione di euro investito nella Exxon Mobil finanzia circa 2mila tonnellate di CO2 equivalente. A parte BMW e Toyota, tutte le altre case automobiliste hanno una più alta intensità di carbonio negli investimenti. “Le emissioni di carbonio nel corso della vita di un’auto sono così elevate – commenta Bonaccorsi – che investire nelle case automobilistiche finanzia quasi quanto investire in una compagnia petrolifera”. Confrontando le medie, un milione di euro investito nei colossi petroliferi Shell, BP ed Exxon Mobil finanzia circa 5mila tonnellate di anidride carbonica, mentre lo stesso importo finanzia in media 4.500 tonnellate nel settore automobilistico, secondo i calcoli della Ong basati sui dati del 2020. Prendendo in considerazione i dati dichiarati dalle aziende in entrambi i settori, a superare la media di BP, Shell ed Exxon (5mila tonnellate di anidride carbonica per un milione di euro), sono Ford, Honda e Renault-Nissan-Mitsubishi, con picchi per queste ultime due rispettivamente di 7mila e quasi 10mila tonnellate. Ma se si prendono in considerazione, per l’automotive, le stime elaborate nello studio a superare la media di quelle dichiarate dalle compagnie petrolifere (prendendole per buone, ndr) sarebbero sei case automobiliste: oltre a Ford, Honda e Renault-Nissan-Mitsubishi, anche Hyundai-Kia, Stellantis e Volkswagen.
Investimenti, rating e reale impatto climatico – “Se vogliono evitare di subire l’impatto di una bomba ad orologeria – spiega Bonaccorsi – gli asset manager dovranno disinvestire dai costruttori che non hanno un piano aggressivo di riduzione delle emissioni“. Secondo le stime della società finanziaria statunitense Morningstar, entro la fine del 2022 circa il 50% di tutti i nuovi prodotti finanziari venduti sul mercato saranno basati su criteri ESG, ovvero ambientali, sociali e di governance. “Tali criteri – spiega la ong – non riescono a cogliere in pieno il reale impatto climatico delle aziende”. Pur essendo gli indicatori ambientali più importanti, infatti, le emissioni di CO2 rappresentano meno dell’1% del rating ESG dei titoli presenti in due dei principali indici di borsa del mondo, S&P e MSCI. Per questa ragione, T&E chiede all’Ue di regolamentare e armonizzare la metodologia per il calcolo dei rating stesso, garantendo così una comunicazione coerente e trasparente dei dati. “Se vogliono evitare di subire l’impatto di questa bomba ad orologeria, gli asset manager dovranno disinvestire dai costruttori che non hanno un piano aggressivo di riduzione delle emissioni”.