Le recentissime esplosioni hanno prodotto serie perdite in tutti e tre i gasdotti sottomarini Nord Stream che collegano Russia e Germania, provocando una seria rottura nel Mar Baltico con enormi bolle di gas. Secondo la Stralsund Mining Authority, responsabile della sicurezza tecnica in Germania, il gasdotto Nord Stream 2 si trova a una profondità di 70 metri e le altre due linee Nord Stream 1 a una profondità di circa 88 metri. È molto raro, hanno spiegato i tecnici danesi, che si verifichino incidenti del genere per puro caso. “Queste sono azioni deliberate, non un incidente”, ha detto ai giornalisti il primo ministro danese Mette Frederiksen.
Quest’ultimo ha affermato che le esplosioni, appena al largo della costa dell’isola danese di Bornholm, di sicuro però non sono state un attacco alla Danimarca, poiché sono avvenute in acque internazionali. Nonostante ciò i leader militari danesi hanno inviato l’Absalon, una delle loro fregate top di gamma, insieme ad altre navi pattuglia, a guardia dell’isola. Certamente altre reazioni di leader occidentali sono state più tiepide in attesa di maggiori indizi e di prove certe. Sabotaggio o guasto tecnico – e soprattutto: a chi gioverebbe? Per Mosca ad oggi quello che si è verificato potrebbe apparire più un problema che una fonte di vantaggi politici, dato che ciò favorisce una nuova fase di sganciamenti energetici. A tal proposito si è già proposta per collaborare a capire cosa sia successo.
Le perdite di gas di sicuro hanno un forte valore simbolico. Da una parte, possono essere una leva per far pagare più cara una merce il cui prezzo è di nuovo schizzato; dall’altra possono rappresentare la volontà di innescare un’escalation. Tutto ciò si è verificato dopo che la scorsa settimana la Russia ha affermato di aver sventato un attacco terroristico pianificato dall’Ucraina all’oleodotto TurkStream. Il gasdotto che attraversa il Mar Nero porta carburante a diversi paesi europei, tra cui Serbia e Ungheria, visti come “amici” di Mosca. Nonostante la decisione della Russia di interrompere le spedizioni di gas verso la Germania, i prezzi sono diminuiti nelle ultime settimane, il che chiaramente non è il modo in cui Mosca aveva pianificato che le cose sarebbero andate.
La Russia vuole tornare a fare paura ma sta trovando serie difficoltà anche all’interno, visto come sta procedendo la mobilitazione tra fughe di massa e proteste varie. Intanto almeno 15 paesi hanno firmato una lettera che invita Bruxelles a proporre un price cap per il gas. Al momento all’appello mancano Germania e Olanda. La lettera è stata firmata da Francia, Italia, Spagna, Polonia, Grecia, Belgio, Malta, Lituania, Lettonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Croazia, Bulgaria e Romania. I fautori dell’idea del cap non chiedono un semplice limite di prezzo, ma piuttosto un “price cap dinamico”, stabilendo un limite che rimane sempre leggermente al di sopra di quello che pagano gli altri importatori, in modo che le navi Gnl abbiano ancora un incentivo a salpare per l’Europa.
Con un limite di prezzo, questo mese gli importatori dell’Ue avrebbero forse pagato 155 € per MWh, ancora al di sopra dei prezzi asiatici a 150 €, ma molto inferiore ai 300 € per MWh o più che gli importatori dell’Ue hanno dovuto pagare a volte. Tornando alle esplosioni nel Mar Baltico, che effetti possono avere sull’ambiente? Jasmin Cooper, ricercatrice associata presso il Sustainable Gas Institute dell’Imperial College London, ha affermato che sarebbe difficile quantificare esattamente la quantità di gas che sta raggiungendo l’atmosfera, soprattutto dati gli scarsi dati esistenti sulle perdite dai gasdotti sottomarini.
Le perdite possono essere captate da una rete crescente di satelliti speciali, ma a causa della diversa riflessione della luce sull’acqua è difficile utilizzare i satelliti per analizzare le perdite in mare aperto, ha affermato Christian Lelong, direttore per le soluzioni climatiche presso i dati satellitari di Kayrros. La quantità di metano avrebbe all’incirca lo stesso potenziale di riscaldamento globale in un periodo di 100 anni di circa 6 milioni di tonnellate di anidride carbonica, secondo i calcoli di Reuters basati sui fattori di conversione dell’Ipcc. Questo è più o meno alla pari con la quantità di CO2 emessa in un intero anno da città di medie dimensioni come L’Avana, Helsinki o Dayton.