Potrebbero essere i risultati, scontati stando ai dati diffusi dalla Tass, dei referendum illegittimi nei territori occupati dai russi nel Donbass a cambiare le sorti della guerra in Ucraina. Il condizionale è obbligatorio, dato che questo conflitto ha abituato gli osservatori a ribaltoni improvvisi anche in campo diplomatico. Ma nelle ultime 24 ore le mosse del Cremlino lasciano aperta la possibilità di nuovi colloqui che, come sembra, potrebbero diventare un’opzione reale dal 30 settembre in poi, quando, secondo l’intelligence britannica, Vladimir Putin annuncerà l’annessione alla Federazione delle aree al voto: Zaporizhzhia, nel Donetsk, nel Luhansk e Kherson.

Mentre il ‘falco’ fedelissimo di Putin Dmitry Medvedev svolge il ruolo del ‘poliziotto cattivo’ ribadendo che l’opzione dell’uso della bomba atomica è tutt’altro che esclusa, la diplomazia continua a muoversi e da Mosca arrivano messaggi di apertura. Dopo le anticipazioni della Turchia giorni fa, poi smentite direttamente dal Cremlino, di una disponibilità a discutere di pace da parte di Mosca, oggi il messaggio è uscito dalla bocca del portavoce di Putin, Dmitry Peskov: dopo un colloquio tra il presidente russo e l’omologo russo, ha spiegato, la Russia ha comunicato di essere pronta ad avviare negoziati con l’Ucraina, “ma con la situazione che cambia, cambiano anche le condizioni”. “Il principio in generale rimane lo stesso. Proprio come gli obiettivi dell’operazione militare speciale – ha spiegato – Gli ucraini hanno abbandonato completamente il percorso negoziale. Per questo l’operazione militare prosegue”.

Le sue parole suonano come una sveglia per Kiev e Washington: decidetevi, oppure cambieremo presto idea. E punto di svolta potrebbe essere proprio l’annessione unilaterale dei territori ucraini nel Donbass e nel Sud. Potrebbe essere questa la merce di scambio per arrivare alla pace: il riconoscimento definitivo di quei territori come aree russe. Putin potrebbe rivendere in patria la liberazione delle “popolazioni oppresse”, consapevole di non poter ottenere conquiste ulteriori in territori più marcatamente anti-russi e con l’Occidente, in special modo gli Stati Uniti, che continuano a rifornire di armi Kiev, mentre nella Federazione la mobilitazione parziale si sta rivelando un fallimento. In questo senso, appaiono importanti le affermazioni di Putin che ha spostato l’attenzione proprio su quei territori, affermando che la loro annessione è, adesso, la priorità di Mosca: “Oggi, nel contesto di un’operazione militare speciale e dei referendum nel Donbass, salvare persone in tutti i territori, cioè in tutti quelli in cui si tiene questo referendum, è al centro dell’attenzione della nostra intera società, dell’intero Paese”. Una priorità che, secondo i servizi segreti britannici, si concretizzerà nel corso del discorso alle Camere che si terrà il prossimo 30 settembre. ”Un discorso storico”, anticipano i media russi, nel quale il presidente, sostiene l’intelligence, potrebbe annunciare formalmente l’annessione dei territori ucraini dove si sono svolti i referendum. Tanto che proprio Peskov ha garantito che il sistema politico in Russia, vale a dire i parlamentari e l’esecutivo, “è pronto per gli eventuali cambiamenti relativi alla potenziale annessione”. La Tass ha invece riportato che il voto sull’annessione alla Camera Alta del Parlamento potrebbe essere messo in programma per il 4 ottobre.

Dal patriarca ortodosso di Mosca Kirill, noto sostenitore di Vladimir Putin che dal pulpito ha più volte giustificato la “operazione speciale” in Ucraina, ha usato parole che sanno di riconciliazione: ha sottolineato l’importanza di una “mobilitazione spirituale” che a suo dire porterà alla fine alla riconciliazione tra Russia e Ucraina. “La nostra mobilitazione spirituale, alla quale ora chiamo tutti, aiuterà anche a mobilitare tutte le forze della nostra patria e allo stesso tempo faciliterà sicuramente alla fine la piena riconciliazione di Russia e Ucraina, che condividono uno spazio comune della Chiesa ortodossa russa”, ha affermato il patriarca in un sermone dopo la liturgia nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. “Molti si stanno ribellando contro la Russia e molti hanno piegato la testa nel desiderio di distruggere la Russia, la sua identità, la sua indipendenza e la sua libertà – ha aggiunto – Oggi dobbiamo rafforzare soprattutto noi stessi nella nostra fede, riempire le nostre chiese, pregare per la autorità e per i militari, per i nostri parenti e cari e pregate anche per la Chiesa ortodossa, che in queste difficili condizioni preserva l’unità spirituale della Santa Russia”.

Anche da Pechino, unica potenza mondiale che ha offerto sostegno economico e commerciale alla Federazione, si chiede un deciso passo verso la pacificazione. La Cina ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di contribuire a mediare per porre fine alla guerra in Ucraina e afferma di essere disponibile a lavorare con il resto della comunità internazionale per una de-escalation dei combattimenti: “La Cina è sempre stata dalla parte della pace e si è impegnata a promuovere i colloqui di pace”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin. “Crediamo che il Consiglio di sicurezza, in quanto fulcro del meccanismo di sicurezza internazionale, dovrebbe fare pieno uso dei suoi ruoli di mediazione che gli affida la Carta delle Nazioni Unite, seguire la giusta direzione per porre fine alla guerra e promuovere la pace”.

Nessuna apertura, però, da quello che Mosca considera il principale interlocutore riguardo alla questione ucraina, ossia gli Stati Uniti. “Le armi che stiamo fornendo sono state finora usate in modo efficace dagli ucraini. Kiev ha il diritto di continuare a difendersi anche nei territori che saranno eventualmente annessi dalla Russia. Dal nostro punto di vista non cambia niente, non li riconosceremo mai“, ha dichiarato il segretario di Stato americano, Antony Blinken. Anzi, da Washington arriva addirittura un rilancio nello scontro con Mosca: gli Stati Uniti stanno preparando una nuova fornitura di armi da 1,1 miliardi di dollari per l’Ucraina, riferiscono fonti dell’amministrazione alla Reuters. Nel nuovo invito ci saranno i sistemi anti-missile Himars, munizioni, vari tipi di sistemi anti-droni radar. L’amministrazione sta anche preparando nuove sanzioni contro Mosca in risposta ai referendum.

Intanto, anche a Bruxelles si registra una frenata al nuovo pacchetto di sanzioni allo studio, anche a causa del veto preannunciato, anche se non in maniera esplicita, da Budapest. Un fatto che potrebbe contribuire alla distensione dei rapporti con Mosca. “I tempi (per il nuovo pacchetto) non sono ancora maturi”, fa sapere una fonte diplomatica. Nell’ordine del giorno del Coreper è previsto un punto sull’Ucraina ma si tratterà, con molta probabilità, di un’ulteriore discussione dopo che lo scorso fine settimana la Commissione europea ha presentato ai rappresentanti permanenti degli Stati le prime proposte di sanzioni. Nel nuovo pacchetto ci dovrebbe essere il divieto di esportazioni tecnologiche, soprattutto nell’ambito militare, del commercio di diamanti e una nuova lista di individui, soprattutto legati all’organizzazione dei referendum nei territori occupati dalla Russia.

Twitter: @GianniRosini

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