Da Trieste a Udine centinaia di richiedenti asilo sono all’addiaccio perché il sistema di accoglienza in Friuli Venezia Giulia è saturo. Tra loro anche malati e feriti, alcuni in strada da molte settimane. Ma anche famiglie con bambini, neonati compresi, senza un riparo. Necessario dirlo subito: non sono irregolari. Si tratta di persone che hanno già manifestato la volontà di chiedere protezione all’Italia e per la legge hanno diritto all’accoglienza. Di più, almeno la metà sono cittadini afghani le cui richieste d’asilo verranno accolte nella quasi totalità dei casi. In leggero aumento rispetto al biennio della pandemia, gli arrivi dalla rotta balcanica non dovrebbero rappresentare un’emergenza. Non se funzionassero i trasferimenti verso le altre regioni che sta al ministero dell’Interno disporre. Invece da questa estate il meccanismo ha subito un forte rallentamento che ha impedito di decongestionare la situazione. E se nel capoluogo c’è chi conta centinaia di persone all’addiaccio, nell’ex Caserma Cavarzerani di Udine gli ospiti sono 900, il triplo della capienza, comprese le decine sistemate nelle tende allestite per le quarantene durante la pandemia. Un’emergenza ingiustificata in un paese dove la media delle persone in cerca di protezione è inferiore a quella europea, con appena un richiedente asilo ogni mille abitanti. Il Viminale, nonostante le diverse richieste de ilfattoquotidiano.it, non ritiene di dare spiegazioni.
Nell’Italia degli sbarchi, di rotta balcanica si parla poco. Ancora meno di ciò che accade in Friuli Venezia Giulia da questa estate, dove il sistema di accoglienza è saturo e molte persone rimangono in strada. Rispetto all’anno scorso, gli arrivi sono aumentati. “Del 40 per cento sul confine italo-sloveno”, riferisce il Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati Onlus di Trieste (Ics). Una stima che non è possibile confrontare con dati ufficiali, che a differenza degli sbarchi dal Mediterraneo il Viminale continua a non diffondere. “Un aumento netto ma non eccezionale e che, comunque, si attesta su alcune migliaia di persone, non certo numeri da capogiro”, spiega il presidente di Ics, Gianfranco Schiavone. Cifre che il normale meccanismo dei trasferimenti avrebbe gestito e che invece si accumulano in una regione tra le più povere di posti in accoglienza ordinaria, dove anche il sistema straordinario si satura per poche centinaia di presenze in più. Quando addirittura non collassa, come nel caso del Centro di accoglienza straordinaria (CAS) della Cavarzerani a Udine, dove da un paio di settimane non si accoglie più nessuno perché le presenze sono già il triplo di quanto stabilito, e chi bussa rimane in strada.
“Tenere più di mille persone in un posto che dovrebbe ospitarne trecento è ledere i diritti umani”, dice della Cavarzerani Giovanni Tonutti, presidente della onlus Oikos di Udine. La parlamentare Sabrina De Carlo (ex M5s) ha recentemente visitato l’ex Caserma denunciando, tra l’altro, l’insufficienza dei servizi igienici. “Un singolo e fatiscente bagno ogni cinquanta persone e posti letto ricavati da aree, anche all’aperto, in cui non erano previsti”, ha aggiunto a metà settembre l’associazione Ospiti in Arrivo di Udine senza timore di essere smentita. “Ci sono persone che in attesa della decisione sulla domanda di protezione internazionale rimangono lì per anni, impedite nell’integrazione e nel lavoro a causa delle uscite contingentate e così facile preda della micro criminalità”, spiega Tonutti. L’alternativa sarebbe la Rete SAI, il sistema ordinario che al modello concentrazionario dei grandi centri oppone l’accoglienza diffusa, una soluzione più elastica ma soprattutto più umana, con risultati riconosciuti. Ma il Friuli Venezia Giulia resta fanalino di coda del sistema di accoglienza e integrazione (SAI). “Sul totale degli accolti, qui c’è la più bassa percentuale di posti SAI. E la più alta di persone nei CAS”, aggiunge Tonutti, che al prefetto di Udine ha chiesto bandi “a sportello” per attivare nuove disponibilità man mano che vengono individuate sul territorio, “evitando mega bandi da centinaia di posti che spesso arrivano a termine senza risposta”. La settimana scorsa la prefettura ha pubblicato una manifestazione di interesse per cento posti in accoglienza diffusa con l’intento di sgravare la Cavarzerani.
Pur senza risolvere la situazione della Caverzerani, a Udine toccherà aspettare ancora diverse settimane per vedere attivati questi cento posti. A Trieste, invece, i posti sono quelli dello stesso Ics e della Caritas, che gestisce anche posti Cas. E sono pieni. “La situazione non è molto diversa dal solito, e nelle ultime settimane siamo passati da arrivi che superavano il centinaio al giorno agli attuali 30 o 50. Piuttosto le difficoltà sono dovute al ministero che ha rallentato le distribuzioni verso le altre regioni, con intervalli di tempo più ampi tra l’uno e l’altro”, spiega don Alessandro Amodeo, direttore della Fondazione Diocesana Caritas Trieste Onlus, che gestisce circa 400 posti in piccole strutture, oltre all’Ostello Scout dove la capienza di 180 posti è stata superata in queste settimane e un’ottantina di persone sono alloggiate in tende installate dalla prefettura ormai due anni fa. “A breve non vedo soluzioni per maggiori posti o altre possibilità. La prefettura continua a fare bandi per trovare enti che possano gestire 100 o 200 posti, ma nessuno si presenta perché luoghi idonei a Trieste non ce ne sono, comprese le tante ex caserme vuote ma inaccessibili perché nel tempo sono state devastate: le ho girate tutte”, racconta don Amodeo, che rilancia: “Bisogna trasferire“.
Intanto le persone stanno all’addiaccio. Chi può, come alcuni pakistani, cerca aiuto presso connazionali (131mila in Italia, soprattutto al Nord), in attesa che arrivi la data dell’invito per la formalizzazione della richiesta di protezione. “Che dovrebbe avvenire entro tre giorni, invece al momento gli appuntamenti sono per dicembre“, spiega Schiavone di Ics. “Le istituzioni però non possono voltarsi dall’altra parte, se non ci sono posti andava attuato un intervento di tipo umanitario, una soluzione temporanea per togliere le persone dalla strada e garantire un diritto riconosciuto dal D.Lgs 142/2015 art. 1 co. 2″. Da metà luglio Ics ha firmato nove segnalazioni inviate alla prefettura di Trieste e per conoscenza al sindaco, agli assessori competenti e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). “Ulteriori 83 richiedenti asilo arrivati tra il 7 e 21 settembre sono rimasti senza accoglienza”, si legge nella segnalazione spedita giovedì scorso. Secondo Ics questi 83 vanno sommati ad altri 275 richiedenti già segnalati nominalmente, con “almeno 115 persone che, in data odierna, attendono all’addiaccio da 30 giorni“. E se per la prefettura di Trieste la situazione è “in via di graduale normalizzazione”, per Ics siamo messi peggio che a inizio settembre, perché oltre ai nuovi arrivi andrebbe considerato “un numero ben superiore di richiedenti che ha fatto accesso alla procedura di asilo a Trieste”.
Nel 2021 le nuove domande di asilo presentate in tutta l’Unione europea erano 600 mila, con un aumento del 25 per cento rispetto al 2020, anno di contrazioni dovute alla pandemia (dati Eurostat). Tra gli Stati membri, con 53 mila domande (8,2%) l’Italia era al quarto posto dopo Germania (27,7%), Francia (19,4%) e Spagna (11,6%). Troppe? Gli stessi dati Eurostat dell’anno scorso ci dicono che in Europa c’è una media di 1.196 richiedenti asilo ogni milione di abitanti. E nell’Italia che chiede di superare il regolamento di Dublino perché gli altri paesi facciano la loro parte? La media è inferiore a quella europea, tanto che ad attuare la redistribuzione per quote il nostro paese dovrebbe accogliere più richiedenti, non meno. Possibile che l’Italia non sia in grado di rispettare la legge garantendo assistenza ai richiedenti asilo che da noi sono appena uno ogni mille abitanti? In Friuli Venezia Giulia i posti in accoglienza ordinaria sono appena 282 contro i 3 mila di Lombardia ed Emilia Romagna, i 4,5 mila della Sicilia, i 2,8 mila della Calabria e i 2,5 mila del Lazio.
“Il sindaco di Udine ostacola l’accoglienza diffusa in tutti i modi, come da programma elettorale”, racconta Tonutti di Oikos. Così sui numeri di un’accoglienza sottostimata rispetto alle esigenze, il rallentamento dei trasferimenti da parte del ministero dell’Interno crea un’emergenza che non dovrebbe esistere. Che non si impone oltre le cronache locali e che però costringe malati, feriti e bambini a passare settimane all’addiaccio. Perché? Dal ministero di Luciana Lamorgese non arrivano spiegazioni. Con buona pace di Mario Draghi che ha chiesto ai suoi ministri un passaggio di consegne “ordinato”, Lamorgese lascia in eredità un sistema di trasferimenti inceppato e una seria violazione di diritti. A chi si attende un cambio di passo va però ricordato che il centrodestra, compreso quello del Friuli Venezia Giulia, ha sempre ostacolato l’accoglienza diffusa in favore dei grandi centri straordinari.