Sono uno dei tantissimi italiani che avrebbe desiderato un risultato diverso alle elezioni. Ma sono anche uno dei tanti che non avrebbe mai barattato una sconfitta della destra con un’alleanza cementata solo dall’anti-melonismo. Abbiamo già dato! Ce le ricordiamo le alleanze uliviste con 17 sigle e i programmi-enciclopedia pieni di pistolotti incomprensibili ed illeggibili, buoni solo a tenere tutti uniti, almeno fino al voto?
La verità è che le condizioni numeriche per unire tutti e battere la destra c’erano anche quest’anno. Mancavano però le condizioni politiche: ce lo immaginiamo un governo Calenda-Renzi-Letta-Conte? Non sarebbe mai nato e se anche fosse partito avrebbe avuto vita breve e avrebbe presto riconsegnato l’Italia a una destra ancora più forte di quella che oggi si accinge a governare. Basta quindi con i rimpianti. Guardiamo avanti. Coloro che oggi si oppongono a Meloni hanno l’obbligo morale e politico di fare chiarezza sulle proprie strategie liberandosi definitivamente dal tentativo di tenere insieme tutto e tutti. E al centro di questa operazione-verità sta oggi il Pd con il suo congresso.
Leggo di tanti militanti del Pd offesi perché molti non-elettori di quel partito si permettono di dare consigli e pareri sulle scelte congressuali. Penso che questo modo di ragionare sia davvero miope. Nel 2008 il Pd conquistò 12 milioni di voti (a cui si aggiunsero 1,5 milioni di voti per Italia dei Valori). Se il Pd avesse saputo conservare quei consensi domenica scorsa la destra sarebbe stata sbaragliata. Invece, dal 2008 ad oggi, il Pd ha subìto una continua emorragia di consensi sino ai 5,3 milioni di quest’anno. E’ del tutto evidente che buona parte di coloro che oggi si permettono di interferire sulle scelte del Pd facciano parte dei 7 milioni che hanno via via abbandonato quel partito. Non è il caso di ascoltarli? Non è il caso di comprendere per quali ragioni hanno smesso di garantire il proprio sostegno?
Provi il Pd nel Congresso che si accinge a convocare a riflettere seriamente sugli errori di questi anni. E usi questa riflessione non per insultare coloro che se ne sono andati, ma per capire le ragioni del loro allontanamento e per scegliere finalmente da che parte stare. Ora sì che è tempo davvero di scegliere: lo sfortunato slogan della recente campagna elettorale Pd potrebbe essere messo a base del nuovo Congresso: Calenda o Conte? Scegli, caro Pd.
E’ tempo di smetterla con il “ma anche” di Veltroni. E’ ora di rinunciare al tentativo di unire ciò che è incompatibile. I dati delle elezioni, a modo loro, sono chiari e netti: la destra ha 12,3 milioni di voti. Sono più della somma di Pd+Bonino+Calenda/Renzi, che insieme ne hanno 9,3. E sono maggiori anche della somma di Pd+5stelle+rossoverdi+Unione Popolare, che arrivano a 11 milioni di voti. Ma è da questi numeri e da queste differenze che si deve ripartire.
So bene che se questa riflessione fosse portata all’estremo il Pd finirebbe con il dividersi, distribuendo i 5,3 milioni di consensi conquistati dall’una e dall’altra parte. Ma vorrei ricordare che oltre ai numeri sopra ricordati ce ne sono altri, ancor più importanti: sono i 18 milioni di elettori che hanno scelto di abdicare. Fossi nel Pd, dovendo scegliere, partirei proprio dalle ragioni di questi ultimi. E mi chiederei chi, fra Calenda e Conte, può garantire la riconquista di almeno una parte di questi voti.
In conclusione, parafrasando De Andrè: “Caro Pd, continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?”.