Deputati a vita. I risultati elettorali hanno consegnato un primato d’eccezione per 4 politici siciliani, eletti consecutivamente, o al più con qualche breve pausa, per più di vent’anni: sono Saverio Romano, Mimmo Turano, Antonello Cracolici e Roberto Di Mauro. Nonostante scontri politici, cambi di casacca e inchieste giudiziarie, i 4 siciliani si ritrovano, infatti, ancora una volta tra i banchi delle aule parlamentari, regionali (in Sicilia si chiamano deputati perché l’Assemblea è equiparata al Parlamento) o nazionali che siano.
Sette volte all’Assemblea regionale siciliana: il record assoluto è di Mimmo Turano, il politico di Alcamo, in provincia di Trapani, che incassa l’ennesima elezione a 56 anni (il più giovane tra i “più vecchi” all’Ars), 22 anni dopo la prima volta. L’esordio era avvenuto nel 1996, quando ad appena 31 anni era approdato all’Ars da novizio, candidato dal Cdu. Figlio d’arte (il padre è stato sindaco di Alcamo con la Dc), in più di vent’anni Turano ha seguito la metamorfosi dello scudo crociato, fino alla nomina di assessore alle attività produttive nella giunta di Nello Musumeci, in quota Udc. Stavolta però conquista il primato siciliano con la Lega, nella quale è transitato poco prima dell’elezione. L’unica pausa, nella parabola di Turano all’Ars, risale al 2008, quando si consolò, tuttavia, con l’elezione alla presidenza della provincia di Trapani. Solo una breve parentesi: nel 2012 si dimise per candidarsi di nuovo alla Regione e far ripartire così il conteggio fino al primato di sette elezioni all’Ars. “Sì è un record, ci tengo a dirlo“, sottolinea lui, che nel frattempo ha visto susseguirsi ben 8 presidenti, da Giuseppe Provenzano a Renato Schifani, passando per Totò Cuffaro e Rosario Corcetta, saltando soltanto il governo di Raffaele Lombardo.
Una longevità da record quella di Turano che viene, però, insidiata da altri due consiglieri regionali: il palermitano Antonello Cracolici, 60 anni, e l’agrigentino Roberto Di Mauro, 66. Il primo è una delle colonne portanti del Partito democratico siciliano: “Pochi come lui conoscono la macchina burocratica della Regione”, commenta un esponente dem siculo. Per conoscerla d’altronde ha avuto tutto il tempo: sebbene, infatti, abbia cominciato dopo Turano, con quest’ultima elezione è arrivato a sei mandati consecutivi. Ha esordito a 39 anni, con la prima presidenza di Totò Cuffaro, proseguendo fino a quella di Lombardo, quando, assieme a Beppe Lumia, fu uno dei principali artefici del rimpasto che portò il leader del Movimento per l’autonomia a tradire il centrodestra e a formare una maggioranza con l’appoggio del Pd.
Cracolici ritorna ancora una volta all’Ars, stavolta però come ripiego: aspirava all’elezione al Senato ma le scelte di Enrico Letta lo hanno lasciato ai margini. “Ho vissuto queste ore con rabbia per quanto avvenuto, portandomi a rinunciare alla candidatura al Senato, ma consapevole che la battaglia elettorale che ci attende è più importante del destino personale di ognuno di noi. Tanti mi avete sollecitato a non mollare, chiedendomi di esserci comunque in questa battaglia per le elezioni regionali. Ho deciso di esserci”, aveva detto, annunciando la nuova candidatura nell’agosto scorso. Una scelta che ha lasciato a bocca asciutta Francesco Ribaudo che nel frattempo aveva scaldato i motori, fiducioso di potere prendere il posto di Cracolici: sarà per un’altra volta. Il veterano dem ha conquistato la sesta elezione dopo “la campagna elettorale più difficile della mia vita. E io ne ho fatte tante”, come ha commentato sui social. E proprio ai social, ad una settimana dalle elezioni, aveva consegnato una dichiarazione di fuoco contro il suo stesso partito: “Nella composizione delle liste per le elezioni nazionali, in particolare con la scelta di alcuni capilista che non rappresentano la Sicilia, è stata mortificata la dignità del Partito Democratico siciliano. È stato compiuto un grave errore, tutto questo è accaduto con le ipocrisie della classe dirigente nazionale e con i complici silenzi e l’accondiscendenza della classe dirigente regionale. Ecco perché il mio impegno in questa campagna elettorale è rivolto anche a quello che succederà dal giorno dopo le elezioni: dal 26 settembre si apre una sfida, dobbiamo cambiare il nostro partito nelle fondamenta”.
“Priorità per le infrastrutture e sostegno alle imprese”, è invece l’esordio (se di esordio di può parlare) di Roberto Di Mauro, commentando la sua sesta elezione. Lombardiano di ferro, il suo vero debutto fu nel 2004 con il Ccd. Quando entra all’Ars, però, è già stato sindaco di Agrigento nel 1991 mentre un anno dopo, a 36 anni viene eletto per la prima volta alla Camera dei deputati. Vanta, dunque, meno tempo all’Ars degli altri due longevi primatisti ma li scavalca contando gli anni trascorsi alla Camera, dove viene eletto anche nel 2006 e nel 2008, rinunciando poco dopo per guidare il gruppo dell’Mpa all’Ars. A Montecitorio torna, invece, Saverio Romano, per anni considerato il delfino di Cuffaro. Deputato per 17 anni consecutivi, dal 2001 al 2018, alle elezioni di 4 anni e mezzo fa l’ex ministro dell’Agricoltura non era stato eletto. Al governo con Silvio Berlusconi, Romano è stato nell’Udc e in Forza Italia prima di fondare Ala con Denis Verdini e infine approdare a Noi con l’Italia, la quarta gamba del centrodestra, confluita in Noi Moderati, sigla alla quale Giorgia Meloni ha voluto cedere alcuni collegi uninominali blindati. Ed è grazie a questo che Romano torna in Parlamento, visto che Noi Moderati non ha raggiunto la soglia di sbarramento.
Assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel 2012, Romano è poi finito sotto inchiesta per presunte tangenti ricevute dalla Gas spa: accusa questa che è stata archiviata. Nel gennaio 2019 viene, invece, indagato con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio all’interno del presunto “sistema” di compravendita di sentenze del Consiglio di Stato. Anche questa indagine a sua carico sarà archiviata. Poi nel marzo del 2021 l’ex ministro viene coinvolto dall’inchiesta per frode sulla fornitura di dispositivi di protezione individuali distribuiti da una società milanese nel marzo del 2020, nella primissima fase della pandemia da Covid. Un anno dopo subisce il sequestro di 58mila euro. lui si è sempre dichiarato innocente: “Sono consulente della European network dal marzo 2020, con regolare contratto, per mezzo del quale – si era difeso Romano – ho svolto regolare attività professionale. La fattura citata dagli organi di stampa è del maggio 2020 ed ha in sé sia la causale dell’attività medesima sia il riferimento al contratto di consulenza. Ho già esibito alla guardia di finanza, che indaga sui fatti documentati, i necessari e dovuti riscontri”. Nel frattempo è tornato in Parlamento.