di Roberta Ravello
Alle politiche hanno votato il 63,90% degli aventi diritto, più del 36% si è astenuto. La rassegna provvisoria degli eletti, in attesa della definitiva, con assegnamento di tutti i seggi anche ai ripescati mostra alla Camera elette 128 donne e 269 uomini, al Senato elette 69 donne e 131 uomini. Insomma, 197 donne e 400 uomini, quindi gli uomini doppi rispetto alle prime.
Secondo un’analisi condotta da Swg per Ansa, a premiare quella che potrebbe diventare la prima presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni, è stato proprio il voto femminile. Questo nonostante Fratelli d’Italia stia mandando in parlamento solo 34 donne contro 83 uomini alla Camera, e solo 18 donne contro 48 uomini al Senato. Il partito tra i grandi con maggiore parità di genere è invece il M5s, con 20 donne e 30 uomini per la Camera, 14 donne e 14 uomini per il Senato.
Mi preme sottolineare che la leadership femminile non equivale a una politica che fa l’interesse delle donne. Lo dimostrano gli Stati Uniti, dove a cancellare il diritto all’aborto è stato proprio il voto decisivo della giudice Amy Coney Barret, nominata da Trump alla Corte suprema; una donna che con la sua scelta ha mandato in frantumi anni di conquiste e battaglie femministe.
Lo dimostra Giorgia Meloni con la sua agenda politica, in cui la difesa della famiglia “naturale” (cioè eteronormativa) è legata alla promozione di un modello alla “ungherese”: procreazione di almeno due figli, razzismo verso le coppie miste ed esclusione delle famiglie arcobaleno. Lo dimostra Giorgia Meloni dicendo che non vieterà l’aborto, ma che ascoltando il battito dei feti, e chiedendo alla donna di ripensarci, magari in cambio di un appoggio economico alla natalità, incentra il programma su quel nativismo volto a proteggere gli interessi degli “indigeni” a moltiplicarsi, scoraggiando invece l’immigrazione, che tende a essere prolifica di suo.
Lo dimostra Giorgia Meloni con la sua contrarietà all’ideologia di genere, che secondo il partito va contrastata per preservare l’identità italiana tradizionale.
Una donna leader di partito sta diventando esperienza più comune nei partiti di destra, rispetto a quelli di sinistra. E non si è finora tradotta in una modernizzazione della visione sociale di quei partiti, i cui programmi restano in larga parte incentrati su politiche iperconservatrici: antiabortiste, antifemministe e anti Lgbtq. Alle destre dobbiamo il simbolismo di apparente rottura dalla tradizione, con una donna leader anziché un uomo, che ha il potere di influenzare la cittadinanza al di là dei programmi elettorali.
La presenza di una leader donna mette in risalto la madre-patria. La Meloni è una madre lavoratrice, non casalinga, e questo le permette di dare espressione a una destra populista che include donne che ambiscono a lavorare, anche dei ceti sociali bassi, e che forse non si sentono difese e rappresentate da una sinistra intellettuale che promette colonnine per la ricarica di auto elettriche e difesa dei diritti Lgbtq, mentre manca il pane a tavola per nutrire i figli o i soldi per mandarli all’università. Fdi ha vinto probabilmente solo grazie alla Meloni, che normalizza e istituzionalizza una destra altrimenti radicale, che grazie ad un volto femminile gentile si mostra rassicurante, materna, disposta al matrimonio e alla maternità, rivendicando persino le lotte femministe di eguali poteri, ma epurandole della radicalità della sfida al patriarcato.
Con la Meloni matri-monio e patri-monio trovano quella sintesi che ha vinto contro i progressismi delle sinistre. L’etimologia ci rivela il legame tra queste due parole. Il matrimonio, infatti, letteralmente significa “azione della madre”, mentre patrimonio è “azione del padre”, che nella Meloni si sono congiunti per rappresentare quella parte di popolazione che evidentemente è ancora legata a una visione della vita tradizionale. Non mi stupisco: l’Italia non è un paese per giovani. Non ancora almeno.