Avete mai cercato quel pezzettino mancante fra tutti gli scarti dei vostri Lego? Mai cercato qualcosa tra i rimasugli di un sacco? Si mescola, dragando a mano il fondo del contenitore. E non si tira su niente. Leggendo “Baby Rosa Gang” mi sembra di raschiare alla ricerca di quel pezzettino mancante senza il quale nulla ha più senso.
La storia in questo libro è molto più complessa, mette insieme vite che sono frammenti di 4 ragazze adolescenti, somiglianti più a molecole liquide e nel tentativo di unirsi non raggiungono mai una forma, l’identità. Perché ciò che le ha messe al mondo e le contiene è un argine di carta: alla prima lacrima o bava crolla tutto. Una donna mi disse “I bambini che sanno rispettare le regole sono bambini sereni” e i grandi? In questa storia di hinterland milanese la serenità è un privilegio, c’è solo nell’euforia stordita delle bravate di Rosaria, Chicca, Betta e Arianna, vite confuse con la cianfrusaglia del caos quotidiano, gusci di noci alle prese col mare in tempesta del presente.
Leggendo può sembrare che non vi sia speranza (è questa che si cerca nel fondo del barile?) ed è così solo se t’illudi che non ti riguardi. Paola della Mariga, insegnante a Piacenza, giornalista pubblicista dal 1987, si è ispirata a fatti di cronaca reali e ha ricucito brandelli di persone, mostrando che in tutta questa desolazione le prime vittime sono queste “bulle di sapone”, vittime di assenze, famiglie senza un centesimo o con troppi euro inutili. Leggo “Baby Rosa Gang” perché Paola della Mariga ci mostra la fortuna che abbiamo di non passare da umani a reietti, di non scivolare sul piano inclinato che porta dritto all’abisso.
Non c’è giudizio nel libro di Paola, a meno che non si voglia essere schizzinosi e replicare l’alibi che noi siamo migliori, noi siamo diversi, a me e noi non succederà mai. Non sarebbe male se questo libro lo leggessero anche i miei figli.